“Il tempo è uno strano maestro”, dicevano i Kina quasi vent’anni fa. Non solo, è anche piuttosto beffardo per chi assiste alle sue vicende e ne è cronista oltre che osservatore. Può l’uscita di un disco come “Malicon” rimandare alle cronache del tempo che passa? La risposta è sì, non solo per il progetto ma anche per chi – come me – sta dalla parte dell’ascoltatore (e del cronista, incidentalmente). Per prima cosa, va detto che non ho fatto in tempo a premere “play” sul recentissimo comeback dei Triskelis di Sergio Vinci che è giunta la notizia del ritorno di quella che può essere definita la sua “band madre”, i Lilyum. In seconda battuta, questo “Malicon” arriva a pochissimo tempo dall’uscita del predecessore “Orior”, il debutto del progetto, presentando affinità e divergenze dallo stesso. È inevitabile confrontare i due dischi, proprio perché il breve periodo intercorso tra i due ci parla di un moto continuo di creatività ma anche dello sviluppo di un processo descrittivo scaturito dall’urgenza. Vi dico subito che a mio parere “Malicon” è un deciso passo avanti nella pur breve storia dei Triskelis; un lavoro in cui il basso non è più il protagonista indiscusso ma tende a dividere la scena con un impiego dell’elettronica che è sempre più funzionale a un ipotetico intento descrittivo. Certo, gli amanti di certe sonorità e degli sconfinamenti di Sergio nel sound novantiano con i suoi tanti progetti non faticheranno a riconoscersi nel sound acido e “in your face” dispiegato da “Gomam”, la prima traccia vera e propria che segue l’intro “Inrot”, nonché nella percussiva “Mosar”, in cui l’uso delle tastiere mi ha ricordato i primi esperimenti in tal senso fatti dai Glacial Fear: spigolosi ma a loro modo affascinanti. Il buon uso dell’elettronica, decisamente affinato, guida con mano sicura l’incedere di “Amot”, l’approccio industrial metal di “Noesi” e la coda voivodiana di “Tiev” – dove è appunto quel sound familiare a tutti gli estimatori di Blacky a tenere banco. Affinità e divergenze, dicevamo… l’uso dei titoli parla da sé, dando un flavour zorniano alla tracklist laddove il predecessore giocava intorno alla circolarità e al fatale numero diciannove (come avevamo appurato in sede di intervista); e a proposito di numeri, è doveroso notare come anche qui le tracce presenti siano otto, per un minutaggio che si attesta ancora una volta poco sopra la mezz’ora. Personalmente, ho trovato una piacevole conferma di quanto già sistematizzato in precedenza, con alcuni elementi di rimando che emergono nella parte conclusiva del lavoro: si ha appunto l’impressione che la title track e la conclusiva “Ruatt” ricordino (per motivi diversi) le atmosfere del debut più da vicino, pur in un contesto più maturo dal punto di vista degli arrangiamenti che si esplica nella costruzione “ragionata” di “Malicon” e nelle secche bordate di “Ruatt”. La palla passa a voi, ascoltatori puri e liberi dal compito del cronista; per parte mia mi aspetto che il percorso dei Triskelis ci regali almeno un terzo capitolo, in un futuro che ci è quanto mai impossibile prevedere.
Voto: 7/10
Francesco Faniello