Nono appuntamento in quel di Chiaromonte per l’edizione 2003 dell’Agglutination, dove anche quest’anno l’attenzione dei più è stata riservata agli headliners, ancora una volta di grosso spessore internazionale.
Dei temibili Vader e dei Virgin Steele, band fondamentale per ogni cultore del “vero metallo” che si rispetti, si può dire che del loro valore sappiamo già tutto, ciò che invece forse preme sottolineare è la costanza, forse la positiva testardaggine di un’organizzazione guidata in prima persona dal promoter Gerardo Cafaro, la quale tenta il più possibile di migliorarsi ogni anno e portare quindi un po di luce in una realtà come il sud Italia pressochè arretrata, tutto questo al di là di alcune ombre che sono emerse in quest’ultima edizione.
Si parlava di ombre? Beh, in effetti chissà quanti ancora oggi masticano amaro per la brutta sorpresa riservataci dai Vader (non avvelenatevi l’anima perchè sorprese dell’ultima ora si ricevono anche ai “mega festivals”) e si certi che la loro presenza avrebbe arricchito se non altro in maggior misura un bill già di per se studiato per accontentare un pò tutti.
Piuttosto, la cosa che ha lasciato perplesso il sottoscritto e non solo, è stata una qualità sonora altalenante (leggi oppure non all’altezza dell’evento), riuscendo a penalizzare interi live set.
Tuttavia non si può certo sminuire il tutto aggrappandosi a cause sicuramente non facili da risolvere per gli stessi addetti. Ultima annotazione va ad un’affluenza di pubblico per il sottoscritto ancora discreta, lo so che a questo proposito sono incontentabile, ma finchè si continua a disertare i concerti qui al sud per bambinesche motivazioni, non si potrà organizzare più nulla di buonoï.
Ma veniamo alla cronaca: ad aprire la kermesse spetta agli Hunchback, che in verità offrono soltanto una prova modesta e senza particolari sussulti se si esclude la tiepida reazione del pubblico durante l’esecuzione di “Breaking The Law” dei Priest. Diciamo pure che iniziare per primi non è facile per nessuno, ed ecco quindi che un’altra formazione pugliese prova a scaldare l’ambiente (metaforicamente parlando perchè il sole picchia ancora duro…).
I Requiem K626 con il loro death/black metal tosto e convincente, come convincente risulta l’intera esibizione dei ragazzi che dimostrano una buona padronanza on stage.
Giunti al termine di una piccola tourneè nel nostro paese, si apprestano ad entrare in scena i costaricani Mantra, i quali ci mettono poco a catturare l’audience con un death old-school semplice ed efficace, suonato con disinvoltura e professionalità frutto di una lunga esperienza underground. I sostenitori del metal più estremo saranno stati soddisfatti, anche se il loro pensiero (ed energie) andava già rivolto ai Vader che non avrebbero mai suonato.
Al cospetto di un ottimo album, nutrivo molta curiosità verso i Rosae Crucis, dei quali avevo ricevuto commenti entusiastici sulle loro performance live. In effetti il loro show è stato un colpo nello stomaco; un suono compatto e potente, si può dire un heavy metal da manuale tra il power e l’epico, dove credo su tutto si sia messo in evidenza un vocalist di razza come Giuseppe Cialone.
Alla coinvolgente esibizione dei Rosae Crucis si va a registrare quella successiva e poco convincente dei Marshall.
Della formazione originale è rimasto solo il batterista, mentre lo stile proposto oggi dalla formazione partenopea si sposta su di un power-prog articolato, con qualche tocco di psichedelia, certamente un percorso più ambizioso per i nostri. Peccato che la loro prova sia passata inosservata, trascinandosi a fatica verso la fine.
Sicuramente da rivalutare in vista del loro imminente full-lenght.
Piacevole soddisfazione è stata quella di poter vedere allï’pera i giovani Elvenking, bravi sia nel saper tenere il palco e sia nel trasformare lo show in una sorta di festa dalle forti tinte folcloristiche. Il loro � un esempio di come si possa fare power metal in maniera intelligente e spassionata, con un sound fresco e piacevole.
La band rivelazione della serata.
“Il rock’n’roll è tornato e si chiama Fire Trails”: così esordisce Pino Scotto presentando la sua nuova creatura e mettendo tutti in riga fornendo una prestazione eccellente che ha contagiato non solo i trentenni che intanto si erano sistemati tra le prime file, ma anche quei ragazzi che con molta probabilità, non conoscevano questo sempreverde rocker e la magia delle canzoni dei mitici Vanadium. Lodevole il supporto di validi musicisti al suo seguito. Una vera band con le palle.
Ormai la luce del sole è andata via, e con essa anche il concerto dei Beholder è andato a farsi benedire per via di suoni e volumi pessimi. E dire che i ragazzi sul palco ce l’hanno messa tutta, purtroppo va a loro il titolo di band più penalizzata e sinceramente non me la sento di dare un giudizio sulla loro performance.
E’ quindi il turno dei Theatre des Vampires acclamati da un cospicuo numero di fedelissimi sostenitori.
La curiosità manifestata dai più nel voler vedere cosa combineranno i nostri on stage, è purtroppo sinonimo di un fenomeno sopravvalutato, che bada più al contorno che alla sostanza: molta teatralità a volte spicciola e banale e musicalmente parlando, tutt’altro che trascendentale.
Con i Labyrinth il livello qualitativo del festival si alza notevolmente. Il loro ritorno, dopo un lungo periodo di pausa, penso sia stato atteso da molti e la lunga attesa è stata giustamente ripagata alla grande con uno show memorabile. Sono i veri dominatori dell’Agglutination di quest’anno, diciamo quasi a pari merito con i Virgin Steele.
Il set, prevedeva alcuni dei brani estratti dal loro ultimo album, che a mio parere hanno sortito buoni responsi da parte dei numerosi fans accorsi.
Delle capacità tecniche (mai fine a se stesse) dei cinque non si discute, ma permettetemi di elogiare un Roberto Tiranti davvero inesauribile.
Ora dovevano imperversare i Vader, ma come già detto in precedenza, il forfait fornirà solo grande delusione per chi magari era pervenuto soprattutto per loro. Fortunatamente nessuna dura ed inutile contestazione.
Signori, il mega show dei Virgin Steele è servito!
Uno spettacolo intenso, unico per il livello professionale dell’ccoppiata DeFeis- Pursino. Alla fine, oltre due ore (!!!) di puro heavy metal con brani più recenti e i classici riservati nella seconda metà del setlist. Senza tanti fronzoli, niente spade infuocate o cose del genere, nessun atteggiamento subdolo da rockstars e va bene così per un’autentica ovazione e per un concerto difficilmente da dimenticare.
Per il decimo anno dell’Agglutination ci si aspettano ancora grandi cose.
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