Milano, Teatro dal Verme, 7 aprile 2023, ore 20.45: un alieno è sbarcato ufficialmente sul nostro pianeta. Niente Independence Day e fregnacce simili: l’alieno che ci delizia con il suo tour e album “Inviolate” si chiama Steve Vai. Grazie ad oltre due ore consecutive, ha deliziato, ha stupito, ha incantato l’intera platea con la sua classe, la sua tecnica e sorprendentemente, visto lo status di star mondiale, con una dolcezza infinita ha baciato il pubblico in estasi con le sue parole e con il suo linguaggio musicale.
Non sto qui ad elencarvi le tappe della carriera di Steve Vai, potete tranquillamente cercarle sui social o su Wikipedia. Basti solo però dire che fondamentale per lui è stato un personaggio, di cui è sufficiente fare il nome: Frank Zappa.
L’esecuzione delle sue ventuno canzoni ha dell’incredibile, se si pensa a delle vere e proprie perle strumentali e alla totale padronanza del palco condita da semplicità di approccio al pubblico, quasi fosse un cugino che suonasse per noi. Coadiuvato da una crew praticamente perfetta (simpatico il loro impegno in un pezzo tutti insieme sul palco) dall’italiano chitarrista Dante Fitzgerald, muscoloso e aitante fisicamente, si passa ai suoi fidi prodi da 25 anni, Philip Bynoe al basso (bravissimo) e Jeremy Colson alla batteria (una macchina schiacciasassi). L’emozione sale alle stelle con l’esecuzione di “Tender Surrender”, prima hit della serata. E continua un susseguirsi di brividi sulla pelle di contatti con le note calde, veloci e pure del nostro Steve. Arriva “Bad Horsie” e la mia voglia di andare sul palco e riempire di baci il “mio” Steve si moltiplica. Si susseguono una serie di songs una più bella dell’altra in attesa dei capolavori indiscussi del suo creato musicale. Per “Whispering a Prayer” cito una frase di un film famosissimo: “che te lo dico a fare”. Qui si va in orbita, si canta “E lucevan le stelle”, si fa l’amore con l’Universo, si gode come un gol vittoria ad un derby al 95’.
Poi arriva “Teeth of the Hydra” e tutto si fa bellezza, arte musicale che esce dalla chitarra più bella, strana e più invidiata (chi non vorrebbe suonarla o toccarla). Purezza allo stato puro, la delicatezza fusa con la tecnica si eleva dal palco per riempire le bocche aperte degli spettatori in superEstasi. Ci siamo tutti riuniti metaforicamente all’esecuzione di “Liberty” must imprescindibile, quasi un’introduzione a un finale orgasmico. Sorpresa numero uno: “For The Love Of God” eseguita, misteriosamente, inizialmente con un ragazzo della crew che canta in maniera lirica dei versi spirituali; bene ma non benissimo, per me affamato della canzone originale. Poi però, prontamente eseguita nella sua interezza e nella sua magica atmosfera onirica e molto spirituale. Sorpresa numero due: all’esecuzione di “Fire Garden Suite I – Bull Whip” l’alieno cala dal palco girando e suonando fra il pubblico in totale trance fisica e psichica. Vengo quasi sfiorato dalla sua aurea extraterrestre e l’energia che emana avvolge la chimica delle emozioni rendendomi felice come un bambino che attinge al latte materno.
Finisce in un impeto emozionale, a fare autografi e selfie vari tra il pubblico, finisce ma non finisce niente perché le due ore con il nostro Steve non finiranno mai di riposare nel cassetto dei ricordi, quelli più belli. Steve Vai, una stella luminosa nel paradiso dei chitarristi, un’espressione cosmica della musica, un luminare di passione dentro le emozioni. A presto, Steve.
Daniele Mugnai