A spalancarmi le porte dell’heavy metal, come in un rito di iniziazione, fu “Brave New World”, il primo album degli Iron Maiden del nuovo millennio. Ero piccolo, in macchina con mio zio ricordo nitidamente che partì l’autoradio e fu esattamente lì che cominciò il mio viaggio culminato a Roma il 24 luglio 2016, data del mio primo e indimenticabile concerto di questa mitica band. Sono passati altri anni ed ora eccomi qua a recensire “Senjutsu”, l’album del ritorno dopo 6 anni di silenzio discografico. 10 tracce, 82 minuti di cuffie.
Si incomincia con la title-track “Senjutsu”: le bacchette di Nicko McBrain sono già caldissime, a loro il compito di introdurre. L’atmosfera è densa, l’adrenalina comincia a fare il suo mestiere, l’assolo di Adrian Smith poi è una vera bomba! Seconda traccia: “Stratego”, un pezzo molto convincente destinato a diventare una delle punte di diamante, 5 minuti in cui riecheggia “Powerslave”, uno fra album più amati del loro glorioso passato. “The Writing On The Wall” è il brano successivo, un pezzo già noto in quanto primo singolo uscito, che si rivela più godibile dopo ripetuti ascolti, forse per quella vaga sonorità southern rock che rappresenta un elemento di novità. Qui le aquile del videoclip rievocano quelle epiche di Where Eagles Dare di Piece Of Mind; l’altra citazione è tutta per il cyborg killer di “Somewhere In Time”, cose di noi fanatici.
Segue “Lost In A World”, una tra le tante firmate dal bassista Steve Harris. L’intro è acustico, la durata particolarmente estesa. Qui sono i continui cambi di tempo a catturare l’attenzione unitamente ai tanti richiami ai fasti di album come “Brave New World” e “Dance Of Death”. A chiudere la prima tranche, “Days Of Future Past” e “The Time Machine”, due canzoni dal ritornello poco efficace ma con parti strumentali molto interessanti.
Secondo atto: si incomincia con la semi-ballad “Darkest Hour”, un altro tra i brani che più colgono nel segno. Aleggia l’ispirazione della storica “Wasting Love”, impreziosita da un altro assolo appassionante di un Adrian Smith decisamente ispirato e dall’ugola di Bruce Dickinson, davvero in grande forma.
Le ultime tre tracce sono anche le più lunghe: ”Death Of The Celts” è un inno all’influenza che la musica medievale ha in tante occasioni esercitato sulla band, mentre su “The Parchment” spicca un altro tratto distintivo: sto parlando di melodie, ispirazioni che guardano alla musica orientale, un altro brano molto sviluppato a livello di sostanza e minuti. A chiudere questo disco tanto sospirato c’è poi “Hell On Earth”, che parte immersa in un’atmosfera cupa per poi sollevarsi in un’epica cavalcata di chitarre ed esaltarsi in un ritornello e un finale davvero efficaci.
Ora mi rendo conto di essermi dilungato più di quanto mi ero proposto, ma “Senjutsu” è un album che merita tanta attenzione e non solo per quanto si è fatto attendere e sospirare. “Senjutsu” è un altro capitolo di una saga incredibile e anche di un’amicizia, quella che lega i membri della band e che meriterebbe un racconto a parte. “Senjutsu” è una festa con milioni di fans sparsi in tutto il mondo, certo un’opera minore rispetto a certe altre, folgoranti, del passato, però ricca di buoni spunti e di bei momenti.
Uno di quegli album che se avessi voluto descrivere in quattro parole avrei certamente scritto: si fa piacevolmente ascoltare.
Voto: 7,5/10
Simone Dionigi
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