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TENEBRA – Moongazer (New Heavy Sounds – 2022)

Si dichiarano acattolici e fanno uscire il primo disco “Gen Nero” spiegando in un’intervista il loro punto di vista: – “Gen Rosso e Gen Verde erano – o forse sono ancora – gruppi dell’azione cattolica, autori di super-hit da oratorio come ‘Benedici Oh Signore’ o ‘Servo Per Amore’. ‘Gen Nero’ è il nostro canzoniere acattolico”…
Così nella recensione del loro primo stupefacente disco li presentavo e li “scrivevo” sul mio personalissimo “cartellino”. Ed ora eccoli qui al loro primo album chiamato “Moongazer”, ove partendo dal nome dalla copertina e dal sound si evince il loro amore viscerale (che è anche il mio) per il sound anni settanta / primi anni ottanta con influenze space-rock (King Crimson meno tecnici) miste al primo proto-doom e al doom caldo dei primissimi Trouble con venature sabbathiane, corroborato infine da quell’hard-rock a cui tutti siamo debitori, quello dei Led Zeppelin.
La famiglia dei Tenebra consta di Emilio Torreggiani alla chitarra e synth, Claudio Troise tra le corde del basso, Silvia Feninno alla voce (strabiliante) e tamburello, Claudio “Mesca” Collina alla batteria; in più, Bruno Germano con la chitarra slide e il mellotron su “Dark and Distance Sky”, Gary Lee Conner (dalla scuderia degli Screaming Trees!) alla chitarra su “Moon Maiden”, Giorgio Trombino al sax su “Space Child”, fino a Riccardo “Frabbo” Frabetti, cori su “Winds of Change” e “Heavy Crusher”.
Nell’iniziale “Heavy Crusher” e ancor di più nella seguente “Cracked Path” la voce di Silvia si eleva in un cantato di marcata derivazione doom così come la musica, ossianicamente heavy blues come se i Led Zeppelin che si unissero carnalmente con i Trouble. L’originalità dei Tenebra sta nel fatto che ogni canzone ha una sua storia, un suo orientamento una sua oniricità. “Black Lace” è sensuale quanto la Bolkan nel film “Non si sevizia un Paperino”, così lenta e suadente. Nella successiva “Carry My Load” il ritornello è da classifica, o da colonna sonora vincente con la lentezza di un blues mai “stancante”, molto alla Blue Oyster Cult nella ricerca dei suoni. “Stranded” e “Space Child” mi piace considerarle due canzoni di una stessa sinfonia psichedelica e acidamente sensuale. La penultima “Dark and Distant Sky” è un volo pindarico icaresco con qualche spiraglio di luce, molto suggestiva, dannatamente coinvolgente. Se vi dicessi… Jefferson Airplane mi prendereste per pazzo, ma a me il singolo “Moon Maiden”, che chiude questo strabiliante esordio, ha ricordato quelle atmosfere tanto geniali quanto sulfuree in una versione di bianca luce velata con trasparenze a cuori nudi. Album decisamente oltre la media, che dovrebbe mandare in orbita, sulla luna (nella sua parte oscura ovviamente) questo gruppo così puro e lascivo, potente e coraggioso, in due parole lucentemente tenebroso.
Voto: 8,5/10
Daniele Mugnai

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8.5

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