
Era da tempo ormai che non provavo una paura anomala nell’inserire un cd nel lettore ma considerandole aspettative che, un gruppo come gli Opeth, possano creare e il lecito disappunto che ho provato durante l’ascolto del precedente “Damnation”, l’attuale timore si è vanificato col passare dei primi 10” dell’opening track “ghost of perdition”. Un ritorno alle origini per gli Opeth che ci esaltano con un death prog dalle tristi atmosfere e dalla forte vena psichedelica.
Elemento caratteristico dell’intera opera è senza dubbio un songwriting attento, complesso e ben strutturato dove elementi come il growl, il cantato pulito, l’effettistica e la ritmica si fondono con precisa lucidità senza lasciare troppo sfogo alla tecnica che, naturalmente, non manca. Un opera che trascina l’ascoltatore in una vorticosa spirale di suoni ed ambientazioni dall’aspetto cosi volatile ed inafferrabile ma al contempo percepibile e contemplabile nella sua magnificenza.
Una produzione esagerata ed un book a cavallo tra il gotico ed il grottesco diventano il contorno indispensabile per un opera degna degli Opeth che con una conferma del calibro di “Ghost Reveries” restano saldamente tra le vette del death prog metal senza, a mio parere, temere rivali.
BF