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GODYVA – Alien Heart (Southern Brigade Records – 2013)

Se c’è un pregio che va riconosciuto ai Godyva, è quello di aver portato aventi le proprie convinzioni musicali senza cedere ad alcun trend. L’affermazione può apparire un ossimoro, dato che dal punto di vista globale il gothic metal suonato dalla band, con influenze in parte elettroniche in parte classic, rappresenta uno dei generi di maggior presa nei confronti di un pubblico non propriamente metal.

Eppure in Italia simili formule sono ancora guardate con sospetto dalla maggior parte degli addetti ai lavori – siano essi ascoltatori, fanzinari o promoters di eventi che devono pescare dallo sconfinato panorama underground – specie in un periodo in cui il revival del thrash dilaga (anche piacevolmente, per carità) sui palchi di provincia dello Stivale. In base a questa riflessione, l’operato di una band con una carriera che ha ormai superato il decennio non può che essere giudicato con il massimo rispetto. Ho personalmente visto i Godyva un paio di volte dal vivo, e in ognuna delle occasioni la band era stata in grado di presentarsi in una veste diversa; con “Alien Heart” la caratteristica principale è una maggiore importanza conferita alla sezione chitarristica, che lungi dal rappresentare la classica funzione “percussiva” e di ritmica “a muro” tipica del genere, offre qui davvero tanti spunti in fase di arrangiamento. E vorrei anche vedere, dato che la band schiera da un paio di anni in line-up nientepopodimeno che G.G. Gohm, che i più smaliziati ricorderanno come il talentuoso Keith Wild, storico axeman di Warchild e Fallin’ Time.

Fatte le dovute premesse, dico subito che “Alien Heart” è un disco da ascoltare dall’inizio alla fine, poichè le varie influenze che la band accosta di volta in volta al proprio sound affiorano poco a poco, raggiungendo a mio parere la giusta alchimia nel finale.

In particolare, episodi come l’opener “Apocalypse fire” ed “Everything is over” si mostrano lievemente orientati verso il classico sound wave anni ’80, complice il sapiente uso dell’elettronica e dei samplers, lasciando tuttavia una sensazione di incompiuto all’ascolto. Le tastiere assumono ben altra funzione in “No Return”, in cui si fanno robuste e barocche, in un’anticipazione delle atmosfere che troveremo più avanti. Sino al ballatone “In your eyes” l’impressione era inoltre che la band avesse trascurato un po’ la funzione catchy dei ritornelli, un elemento che in questo genere dovrebbe essere un must: ecco dunque che Lady Godyva ristabilisce l’equilibrio in questo senso, non trascurando inoltre di dare un saggio delle proprie doti vocali. Di pari livello, se non superiori, sono le soluzioni vocali di “I Stay Here”, un brano sicuramente più legato a forme classiche (ed “evanescenti”) di metal, e soprattutto di “Brainstorm”, sicuramente il migliore della tracklist, con i cori e la chitarra solista a rappresentare efficace corollario. Se in questo senso la band può apparire schierata sul versante “sinfonico” del gothic e quindi un po’ più vicina ai Nightwish, il paragone appare riduttivo specie dinanzi ad un progetto musicale che in una decade di tempo ha affinato quello che senz’altro è un approccio personale alle partiture di genere. Ecco che “This light” e la reprise di “Apocalypse fire” (che chiude così il discorso lasciato in sospeso dall’opener) sono dotate di un approccio quasi “dance” nel proprio incedere, nel senso dell’importanza conferita alla voce, un elemento che trova ovviamente il suo compimento definitivo nella cover di “I feel you” dei Matia Bazar, affrontata con un occhio al flavour ottantiano (e quindi diversissima dalla celebre versione dei Labyrinth), una scelta azzeccata e ben arrangiata da un fondamentale Botys Beezart.

Non sta a me stabilire se questo sia un disco interlocutorio e di passaggio, o un punto di arrivo fondamentale per i Godyva: ciò che posso dire è invitare decisamente all’ascolto di una band che non ha nulla da invidiare ai più blasonati nomi d’Oltralpe.

Francesco Faniello

Contact:
www.godyva.it

Valutazione

8.0

Voto

Pros

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Cons

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