Che delusione! Non ci sono altri termini più benevoli per un giudizio definitivo a questo dischetto che di valore ha solo il logo Girlschool. Eppure le attese per un buon album c’erano eccome, a cominciare dal ritorno di Enid Williams al basso, da quelle ventate fresche di reunion o ritorni che fanno bene ai nostalgici e che più di una volta sono efficaci più di ogni prodotto lanciato dal music business.mah, chiamiamola incomprensione, ma Believe a mio modo di vedere è stato concepito in maniera a dir poco errato e superficiale per le esigenze e la storia passata di questa band.
Purtroppo forse la smania di guardare avanti, oltre i soliti schemi e proporre qualcosa al passo coi tempi ha preso il sopravvento sulle quattro rockers, che oggi giocano a fare il verso al pop rock da classifica con una buona dose di modernismo di dubbio gusto che in questi casi non guasta mai.
L’inizio, quanto mai stentatissimo, è affidato alla doppietta “Come On Up” e “Let’s Get Hard”, due songs dallo stucchevole piglio e che fanno pensare maledettamente alla paura di ciò che ne potrà seguire; fortunatamente, più accettabili riescono le successive “Crazy”, costruita su non originali ma efficaci melodie di facilissima presa e “We All Love To (Rock’n’Roll)”, ovvero il brano che rispolvera il lato più sanguigno del rock firmato Girlschool. Idem dicasi per “New Beginning”, buona per verve, vivace, ruvida e promettente in sede live, mentre con “Never Say Never” si torna ad avere a che fare con quello che per radio oggi spacciano per rock.
Lo spirito punk riaffiora in “Feel Good” e “Yes Mean Yes”, divertenti, ma non tantissimo per le considerazioni finali. Chiudono l’album le accattivanti “Play Around” e “Passion”, che fanno venire quei rimpianti per un lavoro che poteva e doveva essere gestito con più cura e ripeto, meno superficialità.
Roberto Pasqua