
Decisamente, il nome di Stefano Capozzo dirà qualcosa ai lettori di Raw & Wild: membro dei Banana Mayor (ovviamente recensiti su queste pagine) e dunque portabandiera contemporaneo della via italiana al grunge/stoner o comunque chiamereste quel sound che puzza di benzina agricola tanto quanto di riviste specializzate anni ’90. Come il nome lascia intendere, il progetto responsabile di “Sudditi” è un duo, con questo EP che è nato da uno scambio di idee a distanza tra il già citato Capozzo e il batterista Giovanni Solazzo.
Un EP contenente cinque tracce per un minutaggio di tutto rispetto, quasi mezz’ora di musica; quello che richiama subito l’attenzione è la diversificazione di sonorità tra le tracce stesse, accomunate da uno stile vocale abrasivo e sofferto corredato di liriche spesso indulgenti sulla stretta attualità, mentre musicalmente si dipanano su coordinate leggermente differenti. C’è l’opener “Martello” che rappresenta la “quota schizzata” del lavoro e può ricordare i Naked City o gli Psychofagist o ancora gli Splatterpink; “Memorie dal sottosuolo” ricorda il rock italiano ma anche i suoi recenti intenti revivalistici, con una coda a metà tra la tradizione grunge e quella neofolk, usufruendo peraltro di un inserto di fiati campionati che ci ricorda per un attimo i Panico e chiunque abbia battuto quella strada (Timoria ed Extrema, entrambi nello stesso anno fatale 1995!).
Si procede con il fluido floydiano e desertico di “Vilipendio”, che non manca di alleggerire il dilatarsi del rifferama con un chiaro richiamo allo stile di Steven Wilson, immediatamente prima della sferzata finale; e a proposito di sferzate, vale la pena di citare “Peritonite”, su cui i ritmi si fanno più incalzanti, con una variazione che colpisce, affonda e strizza l’occhio a tutti i nostalgici, nessuno escluso. Non amo analizzare i dischi traccia per traccia, ma tanto siamo già alla quinta e conclusiva “Buon compleanno Sudo”, sorta di versione post-apocalittica dello stile più evocativo dei Marlene Kuntz; solo che qui il canovaccio che a suo tempo ha dato vita a “Nuotando nell’aria” viene riletto secondo i canoni dei Duocane e dilatato oltre gli otto minuti. Se sia meglio o peggio, non è questa la sede per discuterne. Quello che devo concludere alla fine è che questi ragazzi sono come me: devono buttar giù qualcosa di sperimentale rispetto alla band madre e pensano subito all’avanguardia novantiana, la stessa cosa a cui penserei io. Sorpassata, direte voi? Niente affatto, rispondo, e lo faccio anche da parte loro.
Assieme agli Oigres, una bella scoperta di “quella nicchia” di underground italiano (intanto arricchita di maturità e respiro più ampio) che speriamo continui ancora a restar viva, sotto la cenere o dritta verso l’orizzonte.
Voto: 7,5/10
Francesco Faniello