Dopo due anni dall’uscita di “Pyramiden” per la Nuclear Blast, ecco che viene alla luce il quarto lavoro dei SYK dal titolo “eartHFlesh”, per la rinomata etichetta Season of mist.
Introduzione telegrafica – la mia – perché per parlarvi di “eartHFlesh” vanno doverosamente accennate determinate caratteristiche spazio-temporali ed evoluzioni di questo potentissimo portento che è il progetto SYK stesso.
Avevamo già decisamente apprezzato i SYK con “Pyramiden”, o meglio… ascoltandolo si capisce bene che la band è al suo terzo lavoro nel pieno di una maturità sonora e artistica. Un viaggio nell’oblio alla ricerca della luce, non un facile ascolto ma un ascolto profondo, una allucinazione introspettiva in cui la voce di Dalila Kayros ci guida cupa e suggestiva nel totale ascolto di tutte le tracce.
“Pyramiden” stringe la mano alla Nuclear Blast, ottiene bellissime recensioni e riconoscimenti, ma accade qualcosa di spiacevole… alcuni membri lasciando la band, tra cui la cantante Dalila. Il leader e fondatore Stefano Ferrian non scende dal treno, non molla il viaggio, trova validi sostituti e continua la sua corsa, anzi, ancor di più lo fa prendendo il timone tra le mani prendendosi l’ulteriore compito di essere lui la voce stessa dei SYK.
Con questo scenario degno di un bruco che diventa farfalla, subentra la prestigiosa etichetta Season of Mist e prende il volo il quarto lavoro “eartHFlesh”.
Se dovessi definire con pochi aggettivi questo lavoro e magari invogliarvi all’ascolto, se ancora non lo avete fatto, vi direi: violento, oscuro e solido.
“eartHFlesh” è uno dei dischi death metal con influenze black più cupi e claustofobici che io abbia mai ascoltato nell’ultimo anno, in tutto ciò ho anche avuto l’occasione di vederli dal vivo al Frantic Fest 2024 e confermo tutti gli aggettivi scritti sopra.
Appena lasciata scivolare la puntina sul vinile (sì, perché chi mi conosce sa che ormai i miei ascolti sono tutti in vinile!!!), “I am the beast” ci introduce nella cupa atmosfera di tutte le otto tracce in circa 45 minuti di oppressione e ferocia. Si sente l’eco di una voce femminile ma solo iniziale, quasi a dirci (o almeno questa è la mia interpretazione) “questo eravamo, questo era, vi induco al nuovo ascolto”, e dopo poco ecco che si alza la muraglia SYK, una muraglia alta e opprimente, che si modifica in labirinto asfissiante: ogni riff, ogni ritmica è un pugno violento nello stomaco… avete presente quella sensazione di piacere mista a dolore? Un vortice spaventoso nel quale ci si immerge per vederne la fine traendone però beneficio, ragazzi a me ‘sto disco – ve lo dico – è piaciuto non poco!
Quest’album non è di facile ascolto, ma non nel senso di “difficile”, più che altro non è un disco da sottofondo, non è un disco da “metto un po’ di musica mentre mi vesto e mi preparo per andare a lavoro”… ecco, è un lavoro complesso, dai ritmi cupi e nervosi, brutale, dalle dinamiche complesse e articolate, dai riff di chitarra terrificanti che si stagliano come coltellate nella psiche; il disco incalza claustrofobico o – come dice la mia collaboratrice Vera – “disturbante” dall’iizio alla fine, toglie il respiro con il suo death metal feroce e oscuro.
Questa la tracklist:
- I am the beast
- Where I am going there is no light
- I’ll haunt you in your dreams
- eartHFlesh
- The sermon
- The cross
- For the themselves I left them
- The passing
Pazzesca “where I am going there is no light”, non solo perché ci conferma il percorso intrapreso e che vi ho descritto in precedenza, ma incede con una melodia ipnotica che travolge e che ho trovato micidiale, vi direi che si il disco mi piace tutto, ma di sicuro questo è uno dei brani che preferisco!
Il disco scorre senza stravolgimenti, coerente nel suo tormento fino alla fine, fino alla chiusura con “The passing” dove ritroviamo la voce femminile (anche qui cerco di intepretare da ascoltatrice) a chiudere il cerchio, a dettare un inizio e una fine, ma questa volta non è eterea accompagnatrice, ma disperata malinconia, un brano che si apre, che si apre al futuro essendo una band con musicisti capaci di vivere il cambiamento trasformandolo in ricchezza e non disillusione.
Ma che vi devo dire? Questo disco è poesia, più violento del precedente forse proprio per il grande cambiamento vocale che personalmente trovo essere una nota positiva nel lavoro: Ferrian è un degno accompagnatore vocale.
Se non lo avete ascoltato vi consiglio di farlo, a prescindere se vi piace il genere o meno, è uno di quei lavori che va affrontato e vissuto in toto almeno una volta e, anzi, vi straconsiglio anche di vederli live perchè questa atmosfera da disco è totalmente rappresentata anche dal vivo!
Sarò sicuramente una voce fuori dal coro (cosi ho visto in giro) ma il mio voto è assolutamente alto, non posso scendere trattandosi di un disco non solo ben fatto musicalmente – e quindi il voto ha al suo interno una accezione tecnica – ma soprattutto coerente, e aggiungo “impavido” visto che il Ferrian, lungimirante, ha preso le redini di una barca ferita ma non affondata e ha deciso di farla navigare verso nuovi cupi orizzonti riuscendoci alla grande – il concept della voce femminile a inizio e fine l’ho trovato geniale e degno di nota.
Voto: 10/10
Manilla Raven
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