
Vi racconto una favola: “C’era una volta… nell’era del metallo avanti Cristo un Tozier alla ricerca della purezza metallica; vagando senza meta, incontrò la bellissima incarnazione dei Thirty Seconds to Mars, appena abbandonati dai suoi occhi di ghiaccio, Jared. Mano nella mano s’imbatterono in un gruppo che aveva la matematica onirica come attrazione chiamati Meshuggah ed infine benedetti dagli Image Dragons pop della new wave britannica. In un’orgiastica funzione spirituale si unirono nella più completa sensuale carnale orgasmica pulsione sessuale. Nacquero di fatto gli Sleep Token. Ed eccoli qui i fenomeni del momento, milioni di ascolti sulle piattaforme multimediali, ove i britannici spopolano alla grande. La miscela del quasi metal si dipana nel tutto e nel di più; suoni moderni, pennellate di pop, ambient, noise, R&B, post core e spruzzi di djent che male non fanno mai. Tanto inutile quanto didascalico descrivere la loro storia, il loro look e il loro hype del momento. Personalmente li trovo al passo con il tempo, tanto coraggiosi quanto furbi, proponendo una miscela musicale adatta a tutti siano essi musicanti che semplici ascoltatori, e da buon metalboomer devo riconosce la loro versatilità e lo sforzo nell’originalità musicale.
Il loro nuovo “Take Me Back To Eden” si apre con la canzone che è ormai in loop su spotify: “Chokehold” riassume la malinconia di un Tozier con un mood moderno affascinante ma che con il metal non c’entra niente. “The Summoning” è un brano praticamente perfetto. Corrosivamente attuale con innesto di chitarre synth, esplosioni djent, vena progressive alla Kevin Moore. Impossibile non amarla e ascoltarla perché racchiude la summa dello Sleep Token pensiero. La terza song è “Granite”, tanto pop quanto da classifica. Il pop è inteso più come una sorta di new wave delicato e raffinato. Forse la più vicina agli Image Dragons. La melodia dolce di “Aqua Regia”, una ballad raffinata suonata al pianoforte, impreziosita da tocchi elettronici e chitarre pulite, e qui Jared Leto la fa da padrone. Anche se la voce è stancamente sempre simile a “Granite”. Eccoci all’esplosione alla Third Second to Mars con “Vore”, in cui spiccano le sonorità. Il cantato growl impreziosisce parecchio dando l’impressione di osare sempre più. In “Ascensionism”, la mia preferita, vi sono influenze R&B, con intermezzi alla Meshuggah da restare senza fiato. Altra ballata “Are You Really Ok?”, un episodio pop-rock che nel suo struggente spartito farà innamorare anche i thrasher più duri.
Inizia comunque una fase di stanca confermata da “The Apparition”, in cui la voce è la protagonista indiscussa con i soliti spruzzi finali metalcore: potrebbe cantare ai vari matrimoni facendo piangere gli sposini e partecipanti. Siamo di fronte a “DYWTYLM”, discreto filler fatto apposta per disorientare l’ascoltatore o magari ammaliarlo affinché non si stacchi dall’ascolto del disco; soft pop da classifica alla prima posizione in su Superclassificashow (chissà il compianto Seimandi cosa avrebbe detto). C’è del metalcore in “Rain”, che si sviluppa su una solida melodia di pianoforte ma che inizia davvero a stancare, assomigliando un po’ a tutte le altre. La title track essenzialmente è la summa di tutto album e forse ascoltando questa song e “The Summoning”, si potrebbe chiudere l’ascolto. Ma poi arriva “Euclid” che chiude il disco con la sua coralità da finale di concerto ove tutti si abbracciano e si baciano sperando in qualcosa di più tornando a casa.
In definitiva, “Take Me Back To Eden” è un disco caldo di misteriosa e onirica atmosfera, da usufruirne dopo ore di death e thrash nelle orecchie. Non è pop, non è metal, non è rock: è un’interazione di culture musicali con i suoi lati positivi e alcuni ripetitivi. Un equilibrio che sa di moderna ruffianeria ma anche di tanta applicazione e gusto raffinato nello scrivere canzoni.
Voto: 7,5/10
Daniele Mugnai
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