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OIGRES – Don’t Stay Close To Me (The Triad Rec. / Ghost Record Label – 2025)

“Don’t Stay Close To Me” è il secondo capitolo discografico degli Oigres, progetto “costola” dei Lilyum nato proprio quando un lotto di pezzi composti in un determinato periodo non risultò sufficiente aderente alla linea dei blacksters torinesi. Poco male, ci dicemmo all’epoca e ci ripetiamo anche ora: poiché decisamente il nuovo album del progetto conferma ancora una volta come lo stesso abbia sempre vissuto di vita propria e “camminato sulle sue gambe”, come si suol dire.
Se infatti avevo chiuso la precedente recensione con una dichiarazione che aveva il sapore di una scommessa (“qualsiasi direzione gli Oigres decidano di intraprendere rappresenterà un motivo di sicuro interesse”, avevo scritto), all’ascolto dei primissimi estratti di “Don’t Stay Close To Me” l’esitazione ha preso piede, non ritrovando in quelle sonorità le stesse cose che mi avevano esaltato del precedente “Psycho”. Il primo ascolto completo del full length non ha fatto che acuire la stessa impressione, probabilmente anche per via di un uso smodato e “percussivo” di chitarroni quasi assimilabili al suono del basso e perciò naturalmente vicini (almeno nelle parti strumentali) all’altro progetto del mastermind Sergio, quei Triskelis già noti alle nostre pagine e giunti anch’essi al secondo capitolo discografico.
Insomma, ci è voluto un po’ per assimilare questo disco e soprattutto intenderne la chiave di lettura: a mio gusto personale, la direzione intrapresa con il predecessore risultava più appetibile, laddove il presente lavoro ha qualcosa di diverso a cui fare riferimento. Paradossalmente, qualcosa… “di più”, nonostante il confronto per il momento penda dalla parte del debut. Se il primo disco aveva infatti dalla sua un equilibrio particolare tra le influenze thrash di “Fermo” e l’acidissimo alternative italiano di “Stella”, episodi come “World Whore” sono qui una dihciarazione di vicinanza alla versione post/industriale dei dettami del crust, con l’ugola sempre lacerata atta a urlare proclami di disperazione e rifiuto. Probabilmente l’impatto con la title track era stato per me sin troppo dirompente, data la natura industrial della stessa, ma va detto che ci sono altri pezzi nella tracklist che miscelano sapientemente quelle suggestioni con un ambiente musicale più… “core”, per così dire – e che mi sono francamente più congeniali delle derive glaciali sparse qua e là tra gli otto pezzi qui inclusi.
È il caso dell’opener “No Life” e del suo assalto frontale poi miscelato nel consueto acido noise tricolore, per non parlare dell’incontro al vertice tra Watain e primi Celtic Frost che sembra caratterizzare “Earthquake of Damned Souls”, o ancora del passo lento e inesorabile che caratterizza il trittico conclusivo, con “Cold Wind” e “My Shadow” che richiamano ancora una volta le atmosfere disegnate da Tom G. Warrior, mentre l’ultima “For You” lascia a suo modo emergere influenze più “alternative” e si basa sul caleidoscopio di voci, lasciandoci in balia delle stesse.
Un album nero come la pece, che infittisce e lascia degenerare il blu nebbia che caratterizzava “Psycho” a partire dall’artwork fino alle composizioni. Prendetevi il tempo per assimilarlo a dovere.

Voto: 7/10
Francesco Faniello

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Valutazione

7.0

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