
“Never Coming Home” è il debutto prelibato da solista della cantante e musicista israeliana Michal Gutman, oppositrice della politica criminale del governo “sionista” di Tel Aviv. Siamo di fronte ad una one-woman-band di fattura notevole, partendo già dalla copertina tanto semplice quanto anni Novanta.
A me sono venute in mente le atmosfere alla Twin Peaks del compianto maestro Angelo Badalamenti. Voce alla Julie Cristie, non sensuale ma disperata come Dolores O’Riordan, musica ipnotica, a volte claustrofobica, che fa centro nel cuore nell’anima e dentro alle nostre membra fragili. Nella costruzione delle singole tracce appare una gelida esplosione di eccitazione, come la sensazione di quando si beve l’acqua frizzante dopo aver mangiato una caramella alla menta. Emozioni doppiamente fragili con pennellate acide, una commistione tra post punk e new wave, sezione “English” irrequieta ma ragionata, tanto da provocare una costante voglia di riascoltare ogni singola nota sia musicale che vocale. Originalità nelle canzoni, nell’esecuzione tecnica e nei testi, manifestando una costante voglia di emozionare se stessa e gli ascoltatori.
“Architecture” apre il circolo dei “non tornare mai a casa” e siamo di fronte al primo singolo alquanto sognante, sferico nel suo avvolgere liquidamente lo spazio/tempo della “relatività” musicale. Segue “Behki” in loop totale e mi ritrovo seduto sul divano a guardare un quadro di Basquiat. La song “Pigeon Hunt” punta sul lato più punk della new wave (Pixies? Forse…) sublimata dal vento del Medio Oriente. Riff di basso ipnotico e intimista per “Doing It Again” ove lo smarrimento più totale strizza l’occhio in un gorgoglio continuo. Si passa a “I’m The Walker” e siamo di nuovo di fronte ad una piccola gemma lucente come un diamante. Miscela orgiastica di suoni e arrangiamenti tastieristici/Hammond e sensazioni che solo la drum-machine anni ottanta può provocare con ancora dissonanze vocali che fondono melodia suffragata dalla consueta disperazione. David Lynch (RIP maestro) è fonte di ispirazione per “This Is Easy” con passaggi chiaramente alla Badalamenti, purezza e opacità discreta, colorata di malinconia nervosa. Eccezionale “A Second Plan”, grazie alla sua introspezione più ipnotica sia trascinante sia con aperture alla Goblin più seminali e il riff finale oscuro nel sotto-strato della canzone mi ha provocato un’eccitazione spudorata. Chiude quest’opera prima di straordinaria bellezza “Running Out Of Luck”, cantato liquido, assolo di basso meraviglioso, riffing agrodolce, insomma una chiusura musicale ove il cerchio è minimalista, ove la musica è arte dove la gemma brilla davanti al monolito perfetto di Kubrik/Clarke. Gocce di memoria, musica altrove, percezione di perfezione, nervi lisci, asmatiche discese, acide risalite, questo e molto più nel viaggio con Michal Gutman; per ora grazie sincero sperando in altri dischi “oltre”.
Voto: 9/10
Daniele Mugnai
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