Era da un paio di mesi che non avevo l’occasione di vedere un concerto organizzato dai ragazzi di True Believers, complice il fisiologico letargo di inizio inverno, quindi ho accolto con il giusto entusiasmo la notizia dell’arrivo al Circolo BlackStar di due realtà appartenenti a diverse sfaccettature del punk rock ma incredibilmente ben combinate insieme, i veterani Derozer e la profetessa del punkukulele/loungerage che si presenta sotto il monicker Skytea For Warriors.
In un modo o nell’altro, c’è una connessione tra me e le due realtà: l’esibizione di Skytea era stata una delle prime ad accompagnare la timida ripresa della musica dal vivo nel 2021, con una situazione che una volta avremmo definito matinée e ora era a tutti gli effetti dans l’après-midi, coprifuoco e pioggia permettendo. In quell’occasione la Nostra scaldò gli animi con il suo approccio allora per me inatteso ma efficacissimo, snocciolando persino una cover dei Pantera. Invece, per quanto i Derozer non siano magari mai stati la mia tazza di tè all’epoca, ricordo perfettamente la loro importanza nello scenario punk rock più melodico degli anni ’90, con un bel sette pollici qual era “144” (tematica super in voga all’epoca!) e un debutto sulla lunga distanza come “Bar” che raccolse pareri positivi un po’ ovunque.
Bene, il 2021 è ormai alle spalle a giudicare dall’orario di inizio che va oltre le dieci di sera, ma anche dall’affluenza di pubblico, affine a quella delle grandi occasioni. Con Skytea For Warriors va in scena una decostruzione dissacrante di pezzi tratti dai quattro cantoni delle declinazioni del rock’n’roll (inteso in senso molto, molto lato), dai Turbonegro di “All my friends are dead” ai Fugazi di “Waiting Room”, per giungere a una “Ace of Spades” affrontata con il piglio drammatico di una Bond singer – magari non vorrete scomodare Shirley Bassey, ma almeno Gladys Knight sì! Così, mentre “Sabotage” dei Beastie Boys e “Sex & Violence” degli Exploited si susseguono senza soluzione di continuità, siamo rapiti dal suo “masticare e risputare” degli autentici pezzi di leggenda e non possiamo fare a meno di osservare come l’esibizione sia il perfetto contraltare a un gruppo storico come quello che seguirà a breve…
In un mondo perfetto, il punk rock è fatto da maghi del coretto che seguono la scuola di Sergio Milani (se non li avete mai sentiti, sono i Superjack il gruppo in cui il granitico batterista applica al meglio questa dote!) e fortunatamente i Derozer non hanno mai deluso da questo punto di vista. Il tempo che “Mondo perfetto” e “Nuova generazione” diano fuoco alle polveri e siamo subito catapultati nell’Eldorado di Greg Graffin, con in più un approccio da drinking stories che siamo avvezzi ad ascoltare dai britannici ma che anche in Italia ha fatto scuola, un trentennio fa.
Per me che leggevo fanzine come “Sprazzi di mille mussole”, magari lontane dal fido HC old school ma scritte benissimo e fatte apposta per la mia curiosità, è come passare dalle parole ai fatti: tuttavia, i Derozer non sono solo un quartetto scanzonato che sventola la bandiera del “ti amo solo quando sono sbronzo”, ma danno spazio a momenti come “La nuvola”, che diventa l’amarcord del tour in ex-Jugoslavia. Il resto lo fa un drumming muscolare e compatto (ci credo, il batterista ha la maglietta dei Wolfbrigade!) e la presenza di un po’ di classici da singalong: l’inno “Fedeli alla Tribù” (Lanerossi, I suppose…), l’attesissima “144” e la commovente (a suo modo) “Bar”, che è un po’ il perfetto congedo per noi nostalgici. È proprio il caso di dirlo: “Che tristezza, quando chiude il bar”…
