Dopo quasi 1000 Km percorsi in camper nella notte con gli occhi sgranati da qualche caffè di troppo, giungiamo al Porto di Brindisi alle 6 del mattino, pronti a goderci il 2nd Festival organizzato da una sempre più attiva I.M.A. L’ I.M.A. (Italian Metal Alliance) è un’organizzazione che ha come obiettivo quello di creare una forte scena metal italiana attraverso la collaborazione tra le bands, che sempre più numerose stanno aderendo a questo progetto.
Quest’anno l’evento, che nel 2001 si era svolto all’ “Indian’s Saloon” di Bresso (MI), si sposta al sud, dove solitamente i concerti non arrivano mai, diventando, grazie alla collaborazione del comune di Brindisi, un grande open air festival con un’amplificazione in grado di spostare le montagne. La cornice è davvero suggestiva: l’imponente palco da le spalle al mare e guarda un enorme mausoleo innalzato in onore di Benito Mussolini e Vittorio Emanuele. Dopo ore di ritardo dovuto a qualche polemica causata da alcuni gruppi un po’ troppo pretenziosi, alle ore 20:30 il concerto ha inizio.
I primi a salire sul palco sono i Listeria, ai quali spetta un compito non certo facile: richiamare sotto il palco i presenti; e ci riescono alla grande. Introdotti da note circensi, già usate dai Cathedral di “Caravan Beyond Redemption”, la band, capitanata dal folle cantante Vittorio, apre il Festival proponendo un sentito ed onesto rock’n’roll adrenalinico che entusiasma il pubblico.
Nei 25 minuti a loro disposizione c’è anche il tempo per una cover, la devastante No Class dei Motorhead che scatena il pogo nelle prime file.
Pogo che si fa ancor più violento con i toscani Coram Lethe, autori di un death metal tecnico sulla scia di Death e Carcass. La band, oltre ai pezzi del proprio demo, “Heeding Your Heroes” e “Reminiscence”, fa tremare il suolo con una nuova song e provoca una totale devastazione con “Symbolic” dei Death, accompagnata da una dedica all’immortale Chuck Schuldiner. Incredibile il muro sonoro ottenuto con la presenza di una sola chitarra.
Una nota di merito alla professionalità del gruppo che, con un soundcheck brevissimo, è riuscito ad avere i suoni migliori della prima parte della serata.
Non è facile salire sul palco dopo uno show così coinvolgente, ma i Kiss Of Death ci riescono, eccome. Il loro thrash, che ricorda da vicino i Kreator dell’ultimo “Violent Revolution” è un’autentica mazzata che si abbatte sui presenti. Nettamente migliorata, rispetto al passato, la voce di Max, che potrebbe essere l’elemento in grado di fare la differenza, insieme all’innesto del nuovo batterista Dario dalla chiara impostazione jazz. Anche per loro una cover storica, “Raining Blood” degli Slayer (c’era bisogno di dirlo?).
Veloce cambio di palco e tocca agli Adimiron mantener calda la partecipazione. Il compito non gli riesce fino in fondo, sia a causa dei suoni peggiori dell’intera serata, sia a causa della prestazione di una band non proprio in gran forma.
Per loro 25 minuti di black metal sinfonico dalle influenze power e chiusura affidata ad una a tratti quasi irriconoscibile “Territory” dei Sepultura. Una band che, visti gli ottimi responsi ottenuti per il demo “Everlasting Fight”, ci sentiamo di rimandare a settembre.
Salgono sul palco i Rain (in attività dal 1980!) ed è “Heavy Metal”.
Questo il titolo della canzone con la quale aprono il loro show, questo il genere da loro proposto; fottuto e divertente heavy metal ottantiano che scatena il pubblico in un headbanging sfrenato. La band, che ha esperienza da vendere, tiene il palco in maniera impeccabile e si congeda con “Born To Kill” tra applausi scroscianti. Veramente da lodare questi musicisti per la loro umiltà e l’amore che nutrono per questo genere musicale. Come spesso accade, anche se non dovrebbe, con gli ultimi gruppi i volumi subiscono una grossa impennata.
I Node sfruttano tutti i 22.000 watt dell’impianto, che alla fine risultano essere fin troppi per ottenere un’adeguata pulizia sonora, specialmente per quanto riguarda le chitarre. Il gruppo, in attività dal ’94 e forte di un’ esperienza live invidiabile, dà vita ad uno show monolitico.
Le canzoni vengono rese come su album dimostrando l’elevata bravura tecnica dei quattro musicisti, che con il loro death metal hanno davvero convinto tutti. In bocca al lupo per il Gods of Metal!
Purtroppo si sta facendo tardi e la gente inizia a sfollare.
Quando salgono gli Shadows of Steel le persone presenti sono davvero poche; ciò influisce in maniera determinante sul morale dei musicisti che dopo solo 20 minuti abbandonano il palco. Wild Steel sfodera come sempre la sua potente ugola, ma non riesce a stabilire col pubblico un rapporto coinvolgente. Le prestazioni dei singoli sono ottime, l’amalgama a non convincere. Peccato, perchè la voglia di vederli alla prove live era molta, vista l’importanza di questa grande power metal band. Alla prossima per un giudizio più esaustivo.
Ed eccoci finalmente giunti agli headliner della serata, gli Stormlord, capitanati da un Cristiano Borchi con tanto di abito epico, spadone ed in vena di spettacoli pirotecnici. I sei romani hanno saputo scatenare il pubblico con song velocissime, dirette da un forsennato David Folchitto alla batteria; il piccolo motorino degli Stormlord è stato anche bersaglio dell’episodio spiacevole della serata, ovvero di un uovo lanciato da qualche cretino, che per fortuna non ha influito negativamente sul suo rendimento.
Il picco massimo del loro show è stato toccato con la supersonica “The Curse Of Medusa” e con “Where My Spirit Forever Shall Be”, che hanno tramortito i presenti. Da segnalare un’ottima “Creeping Death” dei Metallica che ha visto la partecipazione inaspettata di Daniel Botti, cantante dei Node.
Veramente un bel festival, che ha dimostrato, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che i gruppi italiani possono tranquillamente reggere il confronto con quelli stranieri. I complimenti più grandi vanno però a Matteo, Alessandro e Francesco dell’I.M.A., che hanno dedicato tanto del loro tempo e del loro sudore per organizzare questo evento in ogni dettaglio (palco, gruppi, permessi, albergo) e al Comune di Brindisi, che lo ha finanziato.
Bravi! Promossi a pieni voti. Chi ci sentiamo di bocciare sono invece tutti quei metalkids del Sud che non erano presenti, ma che in ogni occasione si lamentano dello scarso numero di concerti nella loro zona. Se desiderano davvero che la situazione cambi, occorre che supportino in primis la propria scena nazionale, ed un festival come questo poteva rappresentare l’occasione giusta. Prima dei saluti, riportiamo una frase che abbiamo sentito tra le prime file non appena concluso il concerto e che ben riassume lo spirito di molti dei presenti: “Avrei voluto che questo concerto non finisse mai”.
Proprio vero. Alla prossima
Giacomo Bortone & Luca Polato