La serata di Roma, è stata la quarta tappa del tour italiano per i W.A.S.P. a supporto del nuovo album intitolato “Dominator” che, stando alle dichiarazioni ufficiali della band, la sua pubblicazione avverà non prima del 2007, quindi un setlist incentrato solo sul vecchio e tradizionale repertorio era largamente pronosticabile.
Pubblico sufficientemente numeroso quello accorso allï’Alpheus, nonostante il lunedï non sia proprio il massimo per andare in giro per concerti, ma l’occasione in verità si presentava particolarmente ghiotta se si tiene conto che Blackie e soci, per quel che ricordo, non avevano mai suonato nella capitale.
Il concerto ha inizio con lo show degli svedesi Fatal Smile, band di cui nessuno o quasi sapeva nulla, nonostante siano in giro da più di un decennio. Simpatica e lodevole la loro esibizione che è trascorsa via in una miscela di sano e robusto hard rock e piacevoli “spruzzatine” stoner. Nulla da eccepire sulle prime songs proposte, ammiccanti e coinvolgenti, ma alla distanza la loro performance andava calando a favore di una palpabile e trepidante attesa da parte di un’audience tutta per i W.A.S.P.
Attesa conclusasi con l’irrompere della classica “The End” dei Doors a fare da intro e l’ingresso del gigantesco (in tutti i sensi) Lawless sulle note di una sconquassante “On Your Knees” proposta in doppietta con “Hate To Love Me”, e per poi lasciare spazio alle arcinote “L.O.V.E. Machine” e “Wild Child”, veri e propri cavalli di battaglia.
E’ tempo di piacevoli sorprese se vengono riproposte dopo molti anni di assenza dal proprio set live canzoni come “Arena Of Pleasure” o “Widowmaker”, mentre “Sleeping in the Fire” ribadisce il concetto di come alcune canzoni non abbiano età; incredibilmente intensa. “Headless Children”, “The Idol” ed il monumentale inno “I Wanna Be Somebody” chiudono la prima parte di uno show grintoso e carico di energia.
Da sottolineare a tal proposito la sempre convincente prestazione sia vocale che scenica di Blackie Lawless, un frontman di eccezionale carisma capace con la sua presenza sullo stage, di oscurare gli altri membri della band, i quali da anni figurano ormai solo come dei comprimari; ad ogni modo un pò a torto, perchè il bassista Mike Duda è da un decennio a questa parte che offre affidabilità e professionalità, e lo stesso discorso vale per Doug Blair, forse il chitarrista più sfigato dei W.A.S.P., ma che ogni volta che viene arruolato, si fa trovare sempre pronto; l’ultimo arrivo è costituito dal giovane batterista Mike Dupke, che, nonostante la pesante eredità lasciatagli dal suo predecessore (Stet Howland) ha fatto la sua dignitosa prova dietro le pelli. Siamo quasi al termine ed il bis ci propone una terremotate “Chainsaw Charlie” eseguita finalmente per intero (negli ultimi anni veniva puntualmente tagliata nel medley iniziale) e la conclusiva “Blind In Texas”, sempre ottima per un finale da applausi.
Tuttavia sorprende lïsclusione di qualche hit (“Aimal (fuck like a beast)” e “The Real Me” su tutti) che certamente ha lasciato l’amaro in bocca ai più ma va bene così comunque.
Roberto Pasqua