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Speciale ROCK ’60 / ’70 (parte seconda)

Arcadia

Atlantide si stava inabissando lentamente, i più previdenti, o semplicemente i più codardi, decisero di rifugiarsi sull’altopiano dell’Arcadia. Qui si disinteressarono alle sventure del mondo sottostante, optando per una vita bucolica, dove la pastorizia e l’agricoltura divennero l’attività principali, così come la riscoperta della cultura classica.

La musica prodotta in questo contesto è a sua volta distaccata, presuntuosa e pretenziosa, ricca di riferimenti alla classicità, in particolare alla musica classica. A bilanciare il ritorno alla classicità c’è lo sfruttamento delle nuove tecnologie, in particolare l’utilizzo di strumenti quali moog e minimoog, mellotron e VCS3, che diventarono con il proprio suono uno dei biglietti da visita della musica del periodo. Non a caso assistiamo in questo periodo alla creazione di band keyboard oriented a discapito della chitarra che era stato sino a quel momento lo strumento principe del rock. Il ricorso a queste tecnologie, così come il tentativo di attuare nuovi schemi musicali, valse al movimento il nome di rock progressivo.

La stagione del rock progressivo non è durata neanche un decennio, 1967-1976, ma è stato, comunque, un periodo florido. E’ possibile rintracciare delle caratteristiche comuni alle migliaia di gruppi sorti in questo lasso di tempo. In primis la struttura delle canzoni diviene più articolata. I 3 minuti e i 2 accordi, che erano alla base del rock, vengono sostituiti con canzoni molto lunghe e complesse. In particolare le canzoni prendono la forma della così detta suite, ovvero brani lunghi anche più di 15 minuti divisi in movimenti, così come avveniva per le composizione classiche. L’estremizzazione della suite era il concept album, disco formato da una sola canzone in più movimenti, ovvero più canzoni che rientravano all’interno di una storia unica narrata nel disco. Chiaramente il ricorso alla suite fu favorito dal diffondersi del lp, formato che a sua volta fu favorito nella propria diffusione, a scapito del 45 giri, proprio dall’esplosione del progressive. Le dimensioni dei long play favorirono ed incentivarono il ricorso a nuove formule grafiche, in particolare si fece largo uso di disegni rappresentanti, per lo più, ambientazioni favolistiche/oniriche. Chi acquistava un disco molte volte acquistava anche un quadro, e non più una semplice foto del gruppo.

Altra peculiarità, che si va ad aggiungere alla suite e alla copertine, è la centralità dei testi. La musica diviene la colonna sonora del testo. I testi dimenticano i contenuti politici e sociali del beat e della psichedelia, e narrano storie fantastiche, di elfi, gnomi, fate, cavalieri, incubi spaziali, per ritrovare solo negli ultimi anni della produzione, un contenuto di tipo sociale narrato sempre sotto forma allegorica e non sempre di semplice lettura. I testi trovavano la giusta rappresentazione sonora nella musica e grafica nelle copertine, ma molte volte venivano trasportate sulle assi dei palchi vere e proprie rappresentazioni teatrali.

Ma il tutto come è nato? Quale è stata la scintilla primordiale? Anche stavolta non è possibile individuare il momento zero. E’ più facile ricondurre tutto al caso, alla voglia di sperimentazione delle bande beat e psichedeliche. Se prendiamo per vero questa affermazione, allora possiamo affermare che il tutto è nato in modo inconsapevole con i Procol Harum. Parlare di caso, quando si racconta dei Procol Harum non è nè eccessivo nè azzardato. La storia dei Procol Harum, è la storia di una band che non esiste che arriva al successo in modo casuale, e solo dopo questo successo prende vita. Cerchiamo di fare un pò di chiarezza. Nel 1967 il paroliere Keith Reid individuò in Gary Brooker, cantante/organista di una band misconosciuta (Paramounts), colui che poteva musicare le proprie composizioni. I due non fecero altro che riadattare in chiave rock l’aria sulla quarta corda, suite numero 3 di Bach. Il brano fu pubblicato in versione 45 giri, a nome Procol Harum e fu intitolato A Whiter Shade Of Pale (1967). Il successo fu incredibile, il brano fu numero uno delle charts inglesi per sei settimane di seguito. Solo dopo questo inaspettato successo, i due decisero di mettere su una vera e propria band richiamando gli ex Paramounts. Nello stesso anno vide la luce il primo lp Procol Harum (1967). Album che risente delle fretta scaturita dalla necessità di battere il ferro finchè era caldo, e quindi risultò approssimativo e poco curato, ma conteneva brani diventati classici come Conquistadores e Kaleidoscope. Inconsapevolmente i Procol Harum con il loro primo 45 giri, l’album omonimo, e i successivi Shine On Brightly (1968) e A Salty Dog (1969), gettarono i semi dai quali sarebbe fiorito il movimento progressive.

Il gruppo che probabilmente trasse maggiore vantaggio dal successo dei Procol Harum, furono i Moody Blues. Al momento della pubblicazione di A Whiter Shade il gruppo, già autore di un album nel 1965, era vicino allo scioglimento se non che la loro casa discografica Decca individuo in loro il gruppo in grado di poter inaugurare il catalogo della propria nuova sotto etichetta Deram, etichetta che doveva lanciare gruppi propensi a sonorità nuove, e in quel periodo il nuovo era rappresentato dai Procol Harum. I Moody Blues inaugurarono il catalogo Deram, che diventerà una delle etichette simbolo del progressive, con il long play Days Of Futer Passed (1967), strutturato come concept album contiene tutte le coordinate stilistiche che verranno da li in poi riprese dalle band prog. Ma fu il secondo album, In Search Of The Lost Chord (1968), a portare a compimento il percorso di maturazione dei Moody. Anch’esso concepet sinfonico come il predecessore, offre spunti maggiormente esotici ed un uso maggiore del flauto. I successivi album confermarono i Moody Blues, e la loro forma di concept, in cima al gradimento degli ascoltatori, inglesi in primis, ma anche del resto d’Europa. Nel 1973 il gruppo si sciolse, i membri tentarono la fortuna con progetti solisti, per riformare il gruppo con scarso successo nel 1978.

I Nice, possono essere considerati il terzo vertice del triangolo rock sinfonico che vede come altri vertici Procol Harum e Moody Blues. Probabilmente dei tre gruppi i Nice sono stati i più eccessivi. Nati come gruppo di supporto di una certa P. P. Arnold, alla fine del tour il gruppo decise di rimanere insieme e di riunirsi sotto la sigla Nice. Anima forte del gruppo, se non che despota, fu il tastierista Keith Emerson. Il primo album vide luce nel 1967 con il titolo The Thoughts Of Emerlist Davjack, album dai contenuti tardo psichedelici e sinfonici, nel quale risplende la rilettura di America brano tratto da West Side Story di Leonard Bernstein. L’ego accentratore di Emerson portò il gruppo alla rinuncia della chitarra, ed i Nice diventarono il gruppo di accompagnamento per l’estro del tastierista.

Nel secondo album Ars Longa Vita Brevis (1968) ritroviamo una rilettura, per l’epoca coraggiosa di Sibelius, che lasciò molti a bocca aperta. Se nei primi due album la rilettura si era soffermata al musical o alla musica classica, con il terzo album The Nice (1969) Emerson si diletta nella rilettura dei contemporanei, in particolare Dylan e Hardin, non tralasciando la rilettura del più “classico” Rachmaninov. Ormai la formula musicale dei Nice era consolidata, e il successo non mancava di certo, ma i Nice stavano stretti all’ambizioso Emerson che dopo altri due album, nel 1970 sciolse il gruppo e chiamò a se due artisti di notevole spessore artistico: Greg Lake bassista ex King Crimson e Carl Palmer batterista ex Atomic Rooster. Il risultato?
Semplice, la più grande star band degli anni 70 gli Emerson, Lake and Palmer o più semplicemente EL&P. E l’eccesso si fece musica, l’ego smisurato di Emerson trovò nei due compagni l’humus necessario per coltivare le proprie manie sinfoniche, dando vita a quella che probabilmente è stata la band più esibizionista dell’intero periodo. Vestiti di scena eccessivi, ingressi sul palco direttamente in elicottero e vita da rock star, gli EL&P furono la macchia fucsia tra i colori tenui del progressive. Ma la musica? Grande musica, il primo album EL&P (1970), ha ancora toni pacati e non lascia prevedere gli eccessi futuri, il lavoro è equamente diviso tra i tre anche se l’occhio di Emerson vigila su tutto, ballate (Lucky Man è splendida), e divagazioni classiche come per esempio The Barbarian, consentirono al gruppo di entrare in classifica in Inghilterra e negli States. Questo successo condizionò il gruppo costringendoli ad immettere sul mercato dopo pochi mesi il secondo album Tarkus (1971). Disco frettoloso in più parti, nel quale spicca la title track, una suite omonima occupa il primo lato del long play e la seconda facciata, meno interessante, contiene canzoni non correlate tra di loro. Ma il terzo disco è l’apice artistico del gruppo (o di Emerson viene da chiedersi). Finalmente la vena classicistica del gruppo esplode in un live album, Pictures In An Exhibition (1971), che altro non è che la rilettura in chiave rock dell’opera omonima di Mussorgsky. I successivi album servirono più che altro a rinforzare l’appeal commerciale del gruppo riproponendo in maniera più pop e glam le peculiarità dei primi tre dischi, trascinando la carriera in modo continuativo sino al 1978. Se si esclude l’appendice datata 1992 Black Moon, la produzione del gruppo si è limitata alla stampa di raccolte e live inediti del periodo d’oro.

Ma chi erano i King Crimson il gruppo in cui mosse i primi passi Greg Lake prima di raggiungere Emerson e Palmer? Semplicemente una delle band che compendia in modo migliore la definizione di progressive rock. Dopo l’estemporanea esperienza Giles Giles & Fripp, Fripp e Giles fondarono i King Crimson, arrivando all’esordio nel 1969 con l’album In The Court Of The Crimson King, ed è perfezione. Un disco che traspira storia da ogni singola nota, da ogni singolo particolare, copertina inclusa. Citare un brano del disco non servirebbe va ascoltato tutto, ogni brano è un frammento di poesia in musica, suoni sognanti, atmosfere surreali al limite della pazzia, tensione e relax c’è tutto, proprio tutto, nei solchi di questo disco. Il secondo album In The Wake Of Poseidon (1970) è una appendice del primo album, Lake è ormai negli EL&P, ma il disco si mantiene su standard elevatissimi, gli arrangiamenti che strizzano l’occhio al jazz. Gli strumentisti intorno a Fripp durante gli anni cambiarono a ritmi vertiginosi ma i successivi album Lizard (1970), Islands (1971), Larks Tongues In Aspic (1973), Starless And Bible Black (1974) e Red (1974), rappresentano la produzione rapportabile all’epoca d’oro del prog, ma il gruppo è stato in grado di mantenere il livello qualitativo della propria produzione anche negli anni 80 e 90, e non è poca cosa.

Una delle domande che tormenta maggiormente i patiti di rock è la seguente: ma i Pink Floyd sono un gruppo prog? (Ok lo ammetto è una domanda che mi pongo io, non pretendo che va la poniate anche voi). La risposta: boh!
Quel che è certo è che hanno fatto uno dei più grandi dischi del rock al loro esordio nel 1967, The Piper At Gate Of Dawn, che rimane uno degli apici della musica psichedelica. Grande disco anche il successivo a Saucerful Of Secrets (1968), un disco psichedelico e oscuro ma che sente la mancanza della vena creativa di Syd Barrett che aveva reso insanamente cattivo, come solo i bambini possono esserlo, il primo disco. Dopo questi due dischi Syd Barrett è ufficialmente disperso, anche se in realtà fu quasi inesistente il suo apporto nel secondo album, la formazione diventò quella classica Waters, Wright, Manson (presenti già all’esordio) e Gilmour (entrato nel gruppo al momento dell’incisione del secondo album). L’assenza di Barrett portò allo scemare dei contenuti psichedelici a favore di una maggiore impronta sinfonica. Emblema di questo passaggio di sonorità è l’album Ummagumma (1969) disco atipico in quanto doppio, con un disco live contenete i vecchi pezzi dell’epoca psichedelica, ed un disco da studio contenente composizioni a firma singola dei membri, ed in particolare nei pezzi di Wright si può notare un impronta di rock sinfonico. Il passaggio al rock sinfonico si perfeziona con il successivo Atom Heart Mother (1970), disco pomposo e barocco nulle lunga title track, il resto delle song sono ballate post-psichedeliche ed azzardate esplorazioni rumoriste. E’ sufficiente tutto ciò per definire questo disco progressive? Non lo so. Comunque dopo un disco di transazione Meddle (1971) il successo sorride ai Pink Floyd portandoli allo status di dei del rock con il terzetto The Dark Side Of The Moon (1973), Whish You Where Here (1975) e The Wall (1979). Sono i Pink Floyd di Waters. Avete presente quelle mamme di alcune tribù, che masticano il cibo per conto dei propri figli in modo tale che poi i propri piccoli abbiano meno difficoltà a loro volta a masticare e successivamente a digerire? Credo che i Pink Floyd abbiano masticato il progressive e poi abbiano passato alla massa del popolo rock un prodotto più facile da ascoltare, che contiene al proprio interno peculiarità prog, ma che prog non è. Come giudicare il risultato? Un buon bilanciamento tra pretese artistiche e vendite astronomiche.

Altre band non ci sono riuscite. Volete i nomi?

Eccovene uno: Genesis. I Genesis esordirono nel 1969 con l’album From Genesis To Revelatiom, ma fu solo con il secondo disco Trespass (1970) che giunsero a sonorità progressive caratterizzate da fiati, tastiere classicheggianti, atmosfere rilassate e su tutto l’istrionicità del cantante Peter Gabriel. In questo disco per la prima volta i Genesis si avvalgono dei servigi di Paul Whitehead per la realizzazione della copertina. Questa copertina così come le altre disegnate per i successivi due album, possono essere considerate tra le copertine più celebri del rock. I successivi Nursey Cryme (1971) e Foxtrot (1972) andarono a delineare maggiormente lo stile pacato, rilassato e sognante dei Genesis. Ma l’apice creativo fu raggiunto con l’album Selling England By The Pound (1973), disco raffinatissimo pieno di virtuosismi e arie barocche ed epiche. I riferimenti ad autori letterari contemporanei, si intrecciano con contenuti di stampo sociale tutto sottoforma di allegoria, senza però diventare stucchevole o autocelebrativo. Se Selling fu il picco creativo dei Genesis, il successivo The Lamb Lies Down On Broadway (1974) fu il picco artistico del Gabriel progressivo. Doppio concept album, una sorta di romanzo di formazione che vede come protagonista il portoricano Reul interpretato dallo stesso Gabriel. L’album rimane uno dei dischi di riferimento del rock, ma risulta in ultima analisi prolisso e di difficile comprensibilità. The Lamb segnò l’abbandono di Gabriel al gruppo ed il passaggio a ruolo di leader del batterista Phil Collins, che inaspettatamente si dimostrò a suo agio nelle vesti di cantante. Sotto la guida di Collins i Genesis confezionarono ancora due dischi di stampo progressivo per spostarsi poi pian piano verso sonorità pop ed il grande successo commerciale, che in questo caso non fu accompagnato da un riscontro di tipo artistico accettabile, come per i Pink Floyd.

Autori di un trittico di album fondamentali per il progressive, gli Yes possono essere considerati al pari dei Genesis e dei King Crimson, il gotha del progressive inglese. Dopo due album interlocutori gli Yes pubblicarono il loro primo album prog: The Yes Album (1971), album che contiene le peculiarità del cosiddetto Yes sound, contraddistinto da un suono elaboratissimo e compatto, pieno di virtuosismi dei singoli membri. Il successivo album, Fragile (1972) è dominato dalle tastiere del nuovo entrato, l’ex Strawbs Rick Wakeman. Ed è un trionfo artistico, ma anche commerciale, il concept futuristico che caratterizzerà la produzione seguente del gruppo è maturo, il suono è tanto complicato quanto glaciale ed alieno. Il tutto viene accompagnato dalla stupenda cover di Roger Dean, che da quel momento in poi renderà con il proprio lavoro grafico inconfondibili i lavori del gruppo. Il terzo e ultimo album del trittico è Close To The Edge (1972), vera e propria apoteosi di tecnica compositiva ed esecutiva. Nell’album troviamo tre suite, una che riprende il titolo dell’album, la seconda intitolata And You And I, ma il picco si raggiunge con la terza suite Siberian Kathru. Gli Yes riuscirono a mantenere livelli compositivi accettabili per tutti gli anni settanta, e approdarono negli anni ottanta ad un raffinato elettropop, mentre gli anni novanta furono caratterizzati da reunion più o meno riuscite.

Se gli Yes sono il bianco della glacialità, i Van Der Graaf Genertor sono il nero delle profondità siderali e Peter Hammil ne fu il cantore. Già l’esordio, The Aerosol Grey Machine (1969), contiene perle di rock oscuro e maledetto, ma è l’incipit del successivo album The Least We Can Dio Is Wave To Each (1970), a far capire che i Van Der Graaf sono il lato scuro del prog. H To He Who Am The Only One (1970) è il trionfo della poesia gotica di Peter Hammil. Nulla è scontato in questo disco, dalla voce di Hammil, all�uso dei fiati, il sax in particolare, il pulsare del basso è opprimente e alla chitarra troviamo niente popò di meno che Rober Fripp con il suo chitarrismo apocalittico. E’ possibile superare la bellezza del questo disco? La risposta è si, i Van Der Graaf ci riuscirono con il successivo Pawn Hearts (1971). La suite A Plague Of Lightouse Keepers, è un incubo spaziale di quelli che solo Syd Barrett sapeva raccontare. Oscuro come un buco nero, inquietante come Moggi in una commissione antidoping, Hammil supera se stesso, non lasciando respirare l’ascoltatore e se ti da un attimo di relax sai già che lo fa per colpirti sempre più duro. Il sax è il canto delle sirene che ti invitano alla deriva siderale, la voce di Hammil è quello di un Omero impazzito, Fripp ti stende un tappeto sonoro, e solo una volta che ci sei su, ti accorgi che il tappeto verde ti porta dritto alla fine. E il resto del disco? Capolavoro di tensione. Dopo questo disco i Van Der Graaf prendono una pausa, per ritornare, prima con un Hammil distratto dalla propria carriera solista, e poi senza di lui, con album di buon livello, ma non della stessa intensità. Hammil continuerà, da solista, la sua carriera di cantaincubi mantenendosi sempre su livelli di eccellenza.

Degna di nota è inoltre la cosiddetta scena di Canterbury, rappresentata dai Soft Machine, Caravan, Camel, Hatfield & The North, ed altri gruppi minori, bands caratterizzate da un sound jazz oriented. La scena si regge attorno a personaggi quali Kevin Ayers, Robert Wyatt, Richard Sinclair ed altri. I Soft Machine incisero in realtà un solo disco che possa essere considerato prog, Third (1970), che comunque risentiva fortemente delle sonorità jazz che avrebbero contraddistinto il resto della carriera. I Caravan invece riuscirono a bilanciare meglio dei Soft Machine rock, melodia ed improvvisazione jazz. Nella produzione dei Caravan troviamo album fondamentali come il sofisticato e fiabesco In The Land Of Grey And Pink (1971). Per quanto concerne i Camel, le sonorità sono più vicine a quelle dei Caravan che a quelle dei Soft Machine, notevoli gli album Mirage (1973), un vero capolavoro, The Snow Goose (1975) e Rain Dances (1977). Più romantici dei gruppi precedenti, ma con la solita impronta jazzista, gli Hatfield & The North hanno pubblicato due grandi dischi: Hatfield & The North (1974) e Rotter’s Club (1975).

Gruppi minori degni di attenzione sono: i Gentle Giant, dal suono epico barocco contraddistinto dagli intrecci vocali, Gentle Giant (1970), Acquaring The Taste (1971), Three Friends (1972) e Octopus (1973), sono da considerarsi dei grandi classici. Gli Strawbs di Wakeman autori di un live dal forte sapore medioeval\folk progressivo, Just A Collection Of Antiques And Corious (1970). I politicizzati Henry Cow di Legend (1973), i Colosseum di Valentie Suite (1969), vero e proprio album proto-prog, ed in fine i Family di Family Entertainment (1969).

Ai limiti della catalogazione prog ritroviamo i Jethro Tull, autori di dischi memorabili che strizzano l’occhio al progressive quali Aqualung (1971) e Thick As Brick (1972). I Traffic dell’immenso John Barleycorn Must Die (1970), perfetta fusione di folk jazz in chiave progressive. Gli strampalati Gong di Radio Gnome Invisibile Part I e Flying Teapot (1973) oppure gli spaziali Hawkwind di In Search Of Sapce (1971).

Tutti i gruppi di cui abbiamo parlato sono anglosassoni (Gong esclusi), ma fuori della vecchia Inghilterra? Poco, molto poco, abbiamo una scena tedesca ai limiti con l’elettronica, gli States pagano una vera e propria carenza “culturale”, che non permette di creare una scuola progressive, e poi c’è l’Italia, unica e vera antagonista alla terra d’Albione, ma questa è un’altra storia, forse.

Ma come è finito tutto? E’ finito perchè ormai i barbari erano alle porte dell’Arcadia. I capelli a punta, le spille al naso, la maleducazione e l’anticonformismo ignorante, hanno logorato pian piano quelle che erano le basi su cui il movimento si reggeva, evidenziandone i limiti. E così la barbara esplosione Punk del 77 spazza tutto via. Cosi come avviene ad ogni invasione, i vecchi difficilmente riescono a sopravvivere (Caravan, Van Der Graaf, ecc…), i più accorti fuggono via (Genesis), i giovani invece che non hanno ancora il proprio carattere formato cambiano, mutano per sopravvivere e soprattutto reagiscono alla vita dura con la durezza (Deep Purple, Kansas). A noi non rimane che il piacere di camminare tra le rovine dell’Arcadia, con lo stupore che nasce di volta in volta che ci troviamo di fronte alle macerie di un vecchio castello fatato, di uno scheletro di un gigante gentile, o di un cammello, certi che prima poi che tra le macerie troveremo un folletto od una fata che ci racconterà come erano belli tempi in cui la gente che abitava su un quell’altopiano credeva nella loro esistenza.

Giuseppe Cassatella

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