
Atipici, innovativi, potenti e grooveggianti in poche parole l’ennesimo spettacolo sonoro firmato roadrunner: i DAATH
Formazione di 6 elementi provenienti da Atlanta (Georgia) ed intenti ad imprimere il marchio della città anche al proprio sound frutto di una attenta commistione di death, trash e black saggiamente fusi da un groove ad dir poco entusiasmante.
Con l’album di debutto “THE HINDERERS”, dice Eyal Evi, chitarrista, i Daath hanno voluto seguire l’albero della vita al contrario trascinando l’ascoltatore lungo un percorso cabalistico – musicale atto ad indagare su tutti gli aspetti autodistruttivi della vita al fine di trasporre in note il difficile raccordo tra istinto ed intelletto.
A mio avviso, la straordinaria produzione che accompagna l’opera, la stessa con cui la casa madre ci ha viziato per tutti i prodotti in giro sul mercato da almeno 2 anni, è, nel caso dei Daath, un elemento svalorizzante. Non sto a dire che non siano da apprezzare il sound massiccio e le chitarre che sembrano mattoni in pieno volto ma sicuramente lo standard del momento a tolto qualcosa alla band spersonalizzando un’idea di base che sicuramente avrebbe ottenuto un risultato migliore con delle soluzioni sonore più personali e ricercate.
Chiusa questa mia parentesi personale, i DAATH ci regalano 13 emozionanti tracce dal groove e dalla potenza non indifferenti e adatte ad un pubblico di tutte le risme dove si possono assaporare sonorità che si possono rifare a qualcosa dei Samael come in “Subterfuge” la opening track e “Cosmic forge” (per me le più belle in assoluto del cd), altre sicuramente più immediate e thrasheggianti come “From the blind” e “Ovum” ed altre ancora che ammiccano sicuramente al black sinfonico dei Dimmu Borgir come in “Under a somber sign” e “festival mass soulform”.
In definitiva un album di tutto riguardo dove la caratura tecnica dei componenti è messa al servizio della musica e non il contrario come spesso accade a chi cerca il particolare nella tecnica e non nella buona musica.
Grawl Malcom & Co