Ultimo live a Bowling Green (Mariano Fontaine - Albatros, 2019)
Bowling
Green, Kentucky: quarantamila anime dannate man mano confluite dagli
ultimi scampoli dell'America rurale nei grandi agglomerati industriali
creati dai colossi come la General Motors, dove l'alienazione la
fa da padrona. Una lunga presentazione nello stile dei fratelli
Coen descrive lo scenario in cui nascono i Nationfire, la band carica
di rabbia e voglia di emergere le cui vicende vengono narrate in
questo "Ultimo live a Bowling Green". Ed è proprio
la lunga presentazione, con una verbosità calcata fino all'eccesso,
a costruire per prima lo scenario in cui appaiono i protagonisti
della storia e accompagnarne l'evoluzione: una scrittura decadente,
non priva di sbavature, sulle prime priva di dialoghi, comunque
rarissimi nel corso dell'intero romanzo. I Nationfire sono autori
di un crossover "impossibile" tra grunge e metal, un sound
descritto come violento ma non privo di una sua vena poetica (chissà
che connessione c'è tra il monicker e il pezzo "A Nation
on Fire" dei Machine Head...) che li porterà a girare
gli States in compagnia dei Napalm Death in un'epoca (gli anni '90)
in cui il disco era ancora il traguardo, non il punto di partenza
che rappresenta ai nostri giorni. La finzione letteraria e l'adattamento
si incrocia spesso con la Storia (come nel caso della cronaca della
morte di Cobain), lasciando pian piano spazio ai primi flashback
tra il tempo di narrazione e quello del narratore, fino all'imprevedibile
epilogo - una svolta che porta inevitabilmente a rileggere le prime
pagine in un'ottica differente e decisamente "metatestuale".
La parte del leone la fa poi il costante amarcord di titoli tratti
dalla fiorente scena grunge / punk / metal dell'epoca, con qualche
chicca e inevitabile citazione del Bel Paese, tra cui la scelta
di chiamare un capitolo "Istinto e rabbia"! A parte l'ovvia
materia di interesse per gli aficionados, il romanzo di Mariano
Fontaine ha il pregio di farsi leggere tutto d'un fiato, con uno
stile di scrittura che coinvolge man mano il lettore, un po' come
succedeva agli ascoltatori di Ottaviano Blitch del Virgin Motel
- e se pensate che l'esempio sia triviale, provate a passare un
inverno intero nella Bassa con la radio come unica compagnia serale...
L'autore
Mariano Fontaine è il chitarrista fondatore degli Housebreaking,
metal band laziale che ha inciso due album: "Out Of Your Brain"
(2010) ed "Against All Odds" (2015). Nel 2013 pubblica
assieme a Cristiano Mastrangeli il suo primo romanzo: "Non
siamo rockstar: la storia di una heavy metal band", che ottiene
favorevoli riscontri dalla critica di settore.Possiede un'approfondita
conoscenza delle dinamiche del music business acquisita quale proprietario
di un negozio di dischi, di un'etichetta discografica e di un'agenzia
promozionale per gruppi esordienti. Si è inoltre esibito
in decine di concerti sparsi per la Penisola, spesso a supporto
di bands blasonate. Parte di "Ultimo live a Bowling Green"
nasce sulla base di esperienze vissute dall'autore all'interno del
circuito musicale.
Titolo: Ultimo live a Bowling Green
Autore: Mariano Fontaine
Pagine: 146
Editore: Albatros
ISBN: 978-88-567-9836-4
Prezzo: 12,00 euro
Contatti:
www.facebook.com/ultimolive
www.facebook.com/mariano.fontaine
L'intervista
Ciao Mariano, benvenuto sulle pagine virtuali di Raw & Wild.
Come è nata l'idea di scrivere Ultimo live a Bowling
Green?
Lo ricordo benissimo: avevo le chiappe immerse nel mar Ionio, in
uno scenario salentino fatto di blu cobalto e sabbia finissima.
Era il 2017 e mi chiesi, perché no? Storie di musica e di
vita vissuta on the road, certo, ma cercando di andare anche oltre
laspetto musicale. Quindi mi concentrai sui ricordi e cominciai
ad elaborare delle potenziali storie.
Tutto sommato, mi dissi, tenendo sempre bene a mollo anche i piedi
in quello sfondo caraibico del Salento, scrivere Non siamo
rockstar qualche anno prima, non fu un impegno impossibile,
anzi. Soprattutto mi resi conto che di aneddoti da raccontare del
music biz nel avevo ancora tanti e anche carini. E così facendo
cominciai a costruirmi mentalmente degli schemi narrativi.
Tornati dalle ferie, verso la metà di settembre decisi di
mettere nero su bianco quello che la mia mente stava creando e cercai
anche di dargli unimpronta seria
Non voglio entrare eccessivamente nella sinopsi del romanzo
per non cadere nel tranello dello spoiler, ma mi chiedo se ci
siano state particolari influenze dal punto di vista letterario
(o anche cinematografico, perché no...) che ti hanno ispirato
all'atto della scrittura...
Diciamo che le prime due parti sono ricordi di vita on the road,
vissuti sulla pelle, aneddoti che dovevo e volevo depositare su
carta miscelati ai tanti racconti delle band che incontravo ai
live in giro per lItalia. Ogni episodio di quelle pagine
è vero. Poi però cè una evoluzione
verso altro, dove la psiche la fa da padrona. Da sempre sono affascinato
da chi vive ai margini della società come tossici, barboni,
psicopatici, prostitute, serial killer e non so veramente quanti
libri e fumetti ho letto a tal proposito. Sono sempre stato attratto,
in una ipotetica scala sociale, dagli ultimi, i perdenti e i diversi,
quelli che per gli altri non esistono o esistono relativamente.
Anche loro, per me, sanno di umanità vissuta
anche
se dal lato out della vita, quello che ti rende comunque
genio ma (probabilmente) senza speranza. Diciamo che cè
una bella evoluzione psicologica del romanzo di cui posso dir
poco per non rovinare la sorpresa al lettore.
Nelle note si accenna al fatto che il racconto è basato
su una storia vera: puoi dirci di più?
Abbiamo voluto fortemente dedicare il romanzo alla memoria di
un caro amico, andato via troppo presto.
Si chiamava David, conosciuto da tanti semplicemente come Davide,
il Punk.
Molti degli aneddoti narrati nella prima parte del libro sono
veri, vissuti sulla (nostra) pelle: anche quella dellasino,
della casa prove e di Madman Jack (che non si chiamava
così ma era ferroviere / stalliere, quello sì).
Tanti di quei ricordi sono storia di vita passata insieme a lui,
quando il Rock, il Metal, il Punk e il Grunge facevano ancora
paura. Anche al sistema, perché sovvertivano o tentavano
di farlo.
Erano anni ruggenti, appassionati e vissuti in provincia, perfettamente
come li ho descritti su Ultimo live a Bowling Green!
E David (Dave nel romanzo) era proprio così: anarchico
e sovversivo, contro tutto e tutti. Probabilmente anche verso
sé stesso.
Ovviamente sul libro la sua storia è stata romanzata (e
la terza e quarta parte del tutto inventata) ma conoscendolo bene,
ci avrebbe messo la firma a fare il tipo di vita in cui lho
immerso nella prima parte del libro. Ne sono certo.
Il gruppo del protagonista si chiama Nationfire e secondo
le descrizioni suona come uno stranissimo incrocio tra il grunge
più acido e il metal più estremo. Mi chiedo se nello
scrivere di loro avessi in mente una o più band specifiche,
dato che si passa dal citare i Temple of the Dog al nominare con
orgoglio i Coroner. Vero è che anche i vari beniamini del
grunge erano fan del metal Cobain adorava i Celtic Frost,
Corgan seguiva da vicino gli Anthrax... non sarà che oggi
i confini tra i generi sono paradossalmente troppo definiti?
In realtà non avevo nessuna band di riferimento dal punto
di vista prettamente musicale. Però mi piaceva poterlo
rappresentare, almeno su carta, almeno su romanzo. È un
connubio assurdo e per certi versi insensato, impossibile da realizzarsi
veramente. Come può esistere una band che suoni Grunge
e Metal estremo? Non è possibile musicalmente, giusto?
Sono due tipi di intendere il Rock con strutture troppo distanti
per essere legate insieme. Però questa cosa mi ha sempre
affascinato, per cui i Nationfire suonano proprio quel crossover
impossibile.
Spesso, nelle pubblicazioni specializzate, si tende giustamente
a rimarcare che Seattle è stata la patria di alcuni pesi
massimi del metal prima ancora di vedere la genesi del suo filone
più fortunato. Eppure, personaggi come Kurdt Vanderhoof
vedevano con fastidio questo accostamento, e la disistima era
reciproca, con gruppi come Nirvana e Mudhoney che si facevano
spesso beffe dei senatori musicali della città.
A tuo parere, che rapporto c'è tra metal e grunge, a parte
le ovvie derivazioni come Soundgarden e Alice In Chains?
Sono due modi propri di intendere la musica in modo profondo.
Assolutamente fondamentali entrambi e personalmente sono da sempre
affascinato da tutte e due le correnti. Diciamo che del Grunge
mi piace maggiormente il pensiero sociale e politico più
che quello musicale, mentre invece del Metal mi piace tutto, quasi
a 360°: pensiero, evoluzione, attitudine. Sinceramente non
mi interessano le polemiche stupide come la classica frase Il
Grunge ha distrutto il Metal e blaterazioni simili. Il Grunge
ha abbattuto le distanze come lo fece il Punk 77 perché
aveva semplicemente più energia e meno sofisticazioni.
In pratica aveva molto più da dire di tante band Metal
e basta.
Appena i Nationfire iniziano a progettare il tour con i Napalm
Death affiora la famigerata questione del pay to play: fa piacere
che la stessa venga affrontata con serenità, essendo una
realtà più diffusa (e longeva) di quanto si creda.
Qual è la tua opinione in merito? Quanto serve davvero
alle band e in che modo?
Il pay to play è esistito, esiste ed esisterà sempre.
Prima, se ti andava bene, pagavano le label mentre ora fai affidamento
solo sulle tue risorse. Anzi, per dirla tutta, un tempo le label
si trattenevano una percentuale sulle vendite dei dischi venduti
e se non vendevi erano dolori perché dovevi cacciarli di
tasca tua. In Italia se ne è parlato e straparlato talmente
tanto in passato per cui, sinceramente, mi tiro fuori dal pantano.
Tanto chi non vuol capire non capisce e cercare di far ragionare
le persone non mi va più. A quarantanove anni mi son rotto
le palle. Che ognuno faccia quel che vuole.
Di livello l'idea di chiamare il tour a cui partecipano i
Nationfire Cursed to Tour, come il celebre split tra
i pionieri del grindcore e gli At The Gates. Dal punto di vista
narrativo, cosa rappresentano invece i Bohicas, l'immaginaria
band di supporto?
Piccola precisazione: sia il titolo del tour che lo stesso, sono
davvero esistiti. Anche le date e i locali narrati sono quelli
toccati dai Napalm Death in quel lontano tour del 1996. Ho fatto
una ricerca molto approfondita su quel devastante tour. Devastante
perché nel 96 gli Inglesi on stage tritavano davvero
alla grandissima. I Bohicas invece mi servivano solo come espediente
letterario e nulla più.
Ultimamente mi sono occupato molto di Napalm Death (nuove
release, tour italiano, dichiarazioni di Greenway) e fa un certo
effetto vederli così spersonalizzati nella
tua narrazione... è una scelta precisa?
Mmm
mi colpisci al cuore. Amo i Napalm Death e sono fiero
di averci diviso il palco anni fa quando suonavo. Sinceramente
non volevo spersonalizzarli e mi spiace veramente tanto se lhai
vista così. Mea culpa. Sinceramente non intendevo.
Alla notizia delle dimissioni di Dave dall'ospedale, non hai
resistito a citare il Libro Cuore, e comunque c'è molta
Italia nel romanzo... una firma d'autore più o meno velata
o c'è qualcosa di più?
LItalia è la mia terra e la amo nonostante odi abbastanza
almeno il 70% degli italiani. La mia cultura è italiana
ed è normale, penso, che le influenze escano fuori
anche abbastanza lampanti, diciamo così. E poi Bowling
Green è un altro espediente che ho trovato per poter parlare
della cittadina dove vivo, Cassino, in provincia di Frosinone,
basso Lazio, terra di nessuno dove regna la Fiat, il suo indotto
e la turpe speranza di salire la china sociale. Proprio come narrato
nelle prime pagine del libro.
Durante la lettura e anche dopo mi sono chiesto il perché
della scelta di ambientare Ultimo live... nel bel
mezzo della provincia americana. Quale è la tua esperienza
degli States?
Nessuna, non ho mai visto gli States se non nei film, telefilm
e nel mio caro West fatto di fumetti e cellulosa. È stato
un espediente letterario per parlare di altro, come detto sopra.
Tra le pagine affiora spesso il tema delle recensioni e del
peso che un'opinione positiva o negativa possa avere. Tu che ne
pensi? Noi recensori siamo davvero brutti e cattivi come ci dipingono?
Un tempo sicuramente sì. Una recensione brutta poteva davvero
tranciare le gambe alle band. Non parlo dei giornali italiani
ma di quelli esteri più conosciuti e rinomati. E poi, sono
stato un fanzinaro doc. Ho scritto e recensito per almeno dieci
anni. Anche su qualche sito importante per periodi limitati. Purtroppo
sono completamente anarchico e non mi sottometto a nessuna regola
per cui, me le facevo e stampavo da solo. Con vari collaudati
amici e collaboratori, ovvio. E stato un bellissimo periodo
della mia vita. Anche se oggi le recensioni, a che servono più?
È finito da un pezzo quel periodo romantico.
A questo proposito, quali sono i tuoi ricordi dell'esperienza
di Crash Magazine?
Bella domanda: ricevevo tonnellate di promozionali dalle etichette
discografiche, dai distributori, dalle band. Ogni settimana si
dovevano recensire tantissime band, affermate e meno. Un grande
lavoro che doveva per forza di cose essere esteso a vari collaboratori.
E così feci. Per avere i distributori migliori poi, il
magazine doveva avere un taglio professionale, per cui stampai
Crash Magazine su carta lucida. Lo impaginavo tutto io e poi lo
portavo in tipografia. E i risultati si vedevano: lavoravo con
Audioglobe, Self oltre che con una montagna di altre label estere.
Finii per finanziarmi la stampa del giornale con la vendita delle
centinaia di promozionali che arrivavamo. Per darti unidea
del flusso di materiale che arrivava periodicamente nella mia
casella postale (fisica, non di posta elettronica) mi basta raccontarti
un piccolo aneddoto: una volta mancai dallufficio postale
per una settimana a causa di una brutta influenza. Bene, quando
arrivai lì, per farmi portare via tutto il caos di pacchetti
e pacchettini che avevano invaso in toto lufficio, il Direttore
mi diede uno degli enormi sacchi con la scritta Poste italiane
e mi disse:Sappi che se ti fermano i Carabinieri ti prendono
per ladro! Il magazine lo regalavo a chi comprava i cd promozionali
che venivano venduti sottocosto, circa 10 euro luno, tranne
qualche perla che in anteprima piazzavo anche a 50 euro. Era una
cosa dannatamente illegale ma altrettanto figa. Ti parlo degli
anni che vanno dal 2000 al 2003, di sicuro erano altri tempi ma
assolutamente più romantici di questi. Poi aprii il mio
negozio di cd dal nome Crash (per lappunto) e non ebbi più
tempo di portare avanti il Mag. Dopotutto i tempi stavano cambiando,
nascevano le prime web zine e non riuscii più a starci
dietro. Non mi piaceva nemmeno più tanto a dirla tutta,
si era perso il fascino della carta stampata e del cd fisico.
Cosa c'è nel lettore / sul piatto / nella playlist
di Mariano Fontaine, e in particolare quale colonna sonora ha
accompagnato la genesi del romanzo?
Un mio caro amico, dopo aver letto il libro mi ha scritto:
È come una canzone degli Alice in Chains ma senza melodia.
E questa frase a me piace veramente tanto. In più, in questa
playlist ci aggiungerei le due bellissime strumentali dei Metallica
The Call of Kthulu e Orion.
Domanda scontata ma doverosa: come sta andando la promozione
di Ultimo live a Bowling Green?
Il libro è stato al Salone del Libro di Torino e sarà
a quello di Roma tra qualche mese. Io lo spingo in qualche radio,
in eventi live e sui social network. Magari qualche cosina di
più potrebbe fare lAlbatros ma tutti ci lamentiamo
sempre sia delle Etichette discografiche che delle Case Editrici,
no?
Cosa bolle in pentola per il futuro?
Tante cose. Da quanto ho posato la chitarra al cosiddetto chiodo
ho cominciato a scrivere davvero tanto. Mi piace e mi rilassa,
quindi mi son detto, perché no? Ho appena finito di scrivere
Le facce della menzogna, un Thriller attuale un po
Noir e un po psicologico. Sarebbe il seguito di Ultimo
live a Bowling Green ma può essere letto in totale
autonomia. Tra un paio di mesi cominciamo la promozione. Anche
per questa nuova fatica devo ringraziare davvero tanto il mio
mentore, nonché Editor di fiducia assoluta,
Cristiano Mastrangeli, la mia compagna Stefania che ha limato
qualche spigolatura e proposto qualche necessaria giunta, Anna
per i suggerimenti e le valutazioni e Jean per le correzioni grammaticali.
Lì dove scappa locchio umano, arriva quello suo e...
zac, ti becca il refuso. E poi, per finire, la cover a mio avviso
è davvero bella e lha fatta un altro grande mio amico,
lartista Francesco Vignola. Tra qualche tempo lo chiameremo
Maestro, per ora facciamogli godere le sue trentacinque primavere.
Dimenticavo: ho già cominciato a scrivere altro ma per
ora è davvero troppo presto per parlarne. Grazie veramente
di cuore per la bella intervista.
Francesco Faniello
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