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:: Iron Reagan - The tyranny of will - (Relapse - 2014) Stavolta mi è toccato in sorte di recensire questo disco, che apprendo essere un side project di Landphil Hall dei Municipal Waste (che qui però ci suona la chitarra), fondato nel 2012 e con un po’ di roba già pubblicata alle spalle... quindi, dopo praticamente 132 ascolti consecutivi (capirai, la durata media dei pezzi è anche minore di quelli della band principale), che posso dire di questo lavoro? Beh, le solite cose: prendete un pugno di ragazzacci metallari, con tanta incazzatura sociale alcolica e psicotropa mista a voglia irrefrenabile di sbeffeggiare il potere nella propria maniera tipicamente americana, chiudeteli in sala prove e aspettate la sgarbatezza sonica che sicuramente ne uscirà fuori. Nel pestaggio sonoro dei (ben 25) pezzi di questo disco è praticamente impossibile distinguere dove finisce il thrash e inizia l’hardcore: fra ritmiche “lilkeriane” e sgommate improvvise alla Slayer, strofe e ritornelli (ma anche interi pezzi) dalla durata di pochi secondi suonati a 300 mph, voce e cori da sollevazione popolare e stacchi di batteria dispari, assoli brevi e ignoranti e riffs epilettici, i nostri non esitano ad usare qualsiasi arma sonora partorita dalle menti responsabili dell’unione di due mondi che la storia della musica stava tenendo separati, ovvero la cazzimma punk anni ‘80 e la contemporanea maestria mazzuolatoria del thrash-speed metal. E quindi vai di Suicidal Tendencies, Sacred Reich, Agnostic Front, S.O.D., Nuclear Assault, Overkill, D.R.I., Anthrax, Minor Threat, G.B.H., primi Voivod, e direi anche qualche riff “MC5 style” nelle (rare) parti in cui la velocità sembra scendere a livelli socialmente accettabili. Per quanto riguarda i testi, la formula è quella collaudata e necessaria per un sound di questo tipo: situazioni, considerazioni e brevissime storie di ambientazione “politica” (nel senso di “poleis”, città, quindi “urbana”), sempre straight in your face e sempre condite da una certa dose di humour, anch’esso senza compromessi. Fra i pezzi più emblematici di questo bel lavoro credo che oltre alla title track si possano segnalare “Close to toast”, “Miserable failure”, “Glocking out”, “Broken bottles”, “Obsolete man”, “Bill of fights” e la lunghissima (4 minuti e 1 secondo!) “Four more years”. In conclusione, un ottimo album per tutti gli appassionati di questo (non)genere, che quindi come tale merita pienamente di essere ascoltato a palla scapocciando e pogando con i muri della propria stanza. Never quit!
WOLVIE
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